“Un uomo giusto e pio, oriundo della Galizia, sarà Papa. Esso precederà il Gran Monarca di due anni circa”. Anonimo, 1490
Capitò per caso che fosse rintracciata questa profezia durante la stesura di un manoscritto, redatto con lo scopo di partecipare nel lontano 1980, al concorso letterario – Il Leone di Muggia– e a mezzo del quale si affermava pubblicamente una improponibile verità che tendeva a divenire, grazie a delle curiose coincidenze, sempre più probabile. L’intenzione era quella di riproporre più estesamente per iscritto, affinché venisse verificato, quello che da lungo tempo si stava delineando. Era necessario vergare i primi riscontri e gli eventi che l’intuito suggeriva sarebbero accaduti nel prossimo futuro; gli straordinari eventi sincronici che avrebbero supportato una tesi altrimenti improponibile.
L’Anticristo, allora fu scritto, quella figura inquietante che fu chiamata il Gran Monarca o la Bestia dell’Apocalisse, secondo alcuni mistici e numerosi veggenti, avrebbe scelto proprio quest’epoca particolarmente travagliata per celarsi in qualcuno al fine di raggiungere il suo iniziale obiettivo e si consigliava pure di riflettere su quanto era stato previsto: “egli si dichiarerà all’età di trent’anni e parlerà del compito che lo attende per un periodo di trentasei mesi”. Il tempo necessario a raggiungere l’età del Cristo al momento della sua crocifissione allo scopo di calcarne le orme; ma, a differenza del suo ispiratore, dovrà poi continuare la sua strenua lotta armato della sola sapienza. La sua guerra durerà ventisette anni, al termine dei quali dominerà incontrastato. Queste pazzesche affermazioni, che possono avere un senso se poste in riferimento al percorso storico dell’Umanità, furono scritte quando erano da poco trascorsi due anni da l’elezione del Pontefice Giovanni Paolo II. [Appendice 2]
Allora, senza immaginare che qualcuno potesse averlo anticipato, si descrisse la prima sintetica stesura di quest’Opera come la rappresentazione di una guerra e ogni suo foglio una battaglia. Fu quindi il caso, sotto le spoglie d’un irrefrenabile impulso letterario, a suggerirgli di vergare le pagine di un notes per raccontare alcune esperienze e aspirazioni, già nella lontana primavera del 1970. Erano confidenze rivolte a un’anima in tumulto e inizialmente non comportava l’onere di dedicarle ad altri.
Trascorsero dieci lunghi anni prima che quel notes fosse riempito, concordemente alle previsioni di noti veggenti. Il nostro Scriba ne era completamente all’oscuro ma, in quel freddo dicembre, maturò la decisione di scrivere per lasciare un segno che determinasse una svolta epocale. Un libro atto a superare ogni ostacolo. C’era l’intenzione e nient’altro, per cui si doveva scrutare tra le pieghe degli avvenimenti ciò che avrebbe potuto ispirare gli altri. Il desiderio di compiere un’opera unica nel suo genere ha stimolato l’intervento del caso, esso ha stabilito con grande ironia, che sarebbero occorsi ventisette anni per portare a compimento il Terzo Testamento.
Durante la sua stesura fu fatta una accurata ricerca sul tema dell’Apocalisse. Fu constatato che molti libri erano del tutto inattendibili, ciononostante fu facile intuire che si sarebbero verificati quegli eventi capaci di far credere probabile l’avvicinarsi di giorni determinanti.
Una seria riflessione sugli indizi lasciati ovunque tra queste pagine, servirà a far sorgere l’idea che a quell’uomo così imprevedibile e così difficile da inquadrare, sia stato riservato nientemeno che il ruolo della Bestia. A tale proposito qualche riscontro verrà dai veggenti che hanno saputo descrivere, in modo estremamente preciso, alcuni singolari eventi verificatisi ai giorni nostri. L’impegno a dimostrare unicamente la correttezza di quelle previsioni richiederebbe di certo uno sforzo minore ma, poiché le loro profezie fanno chiarezza solo su alcuni aspetti del Piano, va riservato il presunto estro letterario che gli si vorrà attribuire, alla creazione di un racconto che consenta la sua piena visione.
È dunque merito del caso se alla vigilia del terzo millennio, un’epoca che ha visto titanici scontri e dove il timore arriva improvviso, come la nube prima della la tempesta… qualcuno si senta in dovere di versare nuovamente un allegorico calice.
Vediamo che si tratta di versare, non si indica l’atto di bere l’amara coppa che alcuni si sono indaffarati a colmare in questi ultimi tempi e si pensa rientri nella norma che un povero Cristo decida di non lasciarsi più crocifiggere!
“All’età di trent’anni l’Anticristo si svelerà pubblicamente… Egli condurrà una lotta che si protrarrà per ventisette anni, poi… detterà Legge”
I ventisette anni indicati da questo passo profetico, grazie a un calcolo semplicissimo, li vediamo esaurirsi nel 1997. L’importanza di questa ultima data è stata intuita da molti ma fino a ora, non è emerso chiaramente come si sarebbe attuato il governo del mondo e in che modo si poteva assicurare un futuro radioso agli uomini. Oggi appare chiaro che la coscienza collettiva sa riconoscere negli eventi casuali il dito di Dio. Tra poco dunque, gli uomini, “ciechi a cui sarà ridata la vista”, vedranno quanto sia facile gettare nel fango ogni Napoleone.
Nelle nostre contrade, agli inizi dell’Ottocento, ai tempi di quello che viene oggi descritto come uno dei più grandi condottieri, la coincidenza fortuita o il caso, in sostanza una semplice astrazione, che solo la mente più acuta riconosce come una delle infinite emanazioni del Figlio dell’Uomo; si rivelò capace di determinare effetti ben visibili e duraturi.
Per caso, al tempo della storica battaglia di Waterloo, nel mese d’aprile del 1815, vi fu a Sumbawa, (Indonesia) un’eruzione vulcanica. Da studi recenti si è saputo che le ceneri del Tamboro furono spinte dai venti a migliaia di chilometri di distanza fino alla lontana Europa. Esse provocarono una stagione di intense precipitazioni e prima del combattimento, la marcia verso il punto scelto per posizionare i 246 cannoni francesi subì un gravissimo ritardo a causa delle strade divenute impraticabili. Il rinvio dell’attacco, deciso nella speranza di procedere su un terreno più asciutto, si rivelò un errore strategico altrettanto grave. In quello storico scontro, il caso si prese gioco dell’Imperatore anche in un’altra circostanza: la cavalleria francese attaccò le batterie di cannoni avversari per renderli inutilizzabili con dei semplici chiodi. Durante la carica, furono decimati proprio quei cavalli che trasportavano le sacche con mazze e chiodi, per cui alla fine del confronto, nel fango di Waterloo, cadde la stella di Napoleone.
Oggi, alle menti più ricettive, sembra ci sia qualcuno che riveste una forma dove sono racchiuse infinite contraddizioni ma altrettante possibilità. Tramite essa si determinano fenomeni impercettibili e astratti creando la storia. La consapevolezza di possedere la stessa capacità creativa crescerà in voi in modo esponenziale solo se accetterete l’idea che le profezie e le tradizioni riportate nel racconto servano alla comprensione dei fenomeni sincronici celati in queste pagine. Un indizio in tal senso è rappresentato dallo scritto profetico che ci informa sul punto dal quale quei fenomeni si irradieranno:
“Egli sarà riconosciuto da una piccola croce rovesciata sulla sua fronte”
Pare legittimo chiedere che quel punto sia compreso e accettato per ciò che vuole essere: la tenue luce che illumina la via che ognuno dovrà seguire per giungere ai cancelli dell’Eden.
Anche alla persona più ottimista, riguardo le possibilità intrinseche dell’uomo, è necessario uno sforzo sovrumano per accettare tali affermazioni senza alcuna riserva, pertanto è utile chiedervi di ponderare attentamente questo scritto e quello di ogni altro autore proposto in queste pagine a supporto di una tesi sconvolgente. Ripetersi, anche se appare dettato da una insana presunzione, si rivela utile qualora delle roboanti dichiarazioni trovino il sostegno del caso mentre ci pone tra le mani il libro di Peter Lemesurier:
– Sovente si sottolinea la stretta connessione fra l’atteggiamento psichico e mentale dell’umanità e i fenomeni di ordine materiale e fisico che caratterizzano il pianeta che la ospita. Questo possibile legame viene definito da Goodman con il neologismo “bio-relatività”. Non è, in sé, un concetto nuovo, ma non è certamente semplice da spiegare. Ciò che è comunque certo è il fatto che la psiche umana possiede un potere e una forza così estesi e tremendi da superare ogni previsione, anche la più ottimistica. – (Le Profezie che guidano il mondo pag. 255)
Indubbiamente solo un animo nobile può votarsi alla eliminazione degli ostacoli sul sentiero che conduce alla meta indicata in quest’Opera. Questa confidenza non lo farà certo apparire meno presuntuoso ma non è questo lo scopo della confessione; viene vergata affinché anche altri agiscano al più presto come figli di Dio.
Verso gli anni settanta, furono poste sulla carta le prime impressioni che in seguito si sarebbero rivelate preziose per la stesura di questo libro; già in quei fogli si sosteneva un concetto che, siatene certi, sarebbe stato in seguito deriso e ritenuto assurdo, il parto di una fantasia malata. Un animo che vede la remota possibilità di far un giorno apprezzare la sua ipotesi agli altri, difficilmente arretra quando giunge il momento di togliere la coltre dei secoli stesa su una Verità impensabile; una verità inconcepibile anche per chi vide l’immagine del Cristo e quella dell’Anticristo poste sullo stesso altare per essere adorate.
Gli storici sanno che dopo l’anno Mille, quelle impensabili cerimonie continuarono per circa trecento anni. Ai giorni nostri, è possibile trovare delle inquietanti analogie tra quelle due antitetiche figure. Esse sono l’amaro frutto dello stesso scherno e dell’identico odio che, a piene mani, tanti riversano attorno a sé. Prima della conclusione dell’opera si intuirà che il sofferto percorso del protagonista è necessario affinché il fantastico Piano concepito dalla sua mente venga compreso da altri. Un indizio di ciò lo fornisce Giuseppe, un giovane a cui fu prestata una bozza del libro, egli lo riconsegnò dopo averci scritto con un pennarello rosso una strana richiesta, un desiderio che a molti lettori consentirà di intuire cosa si nasconde tra queste pagine: “Manda quindi il tuo segno e perdonami di tutte le sofferenze che hai dovuto subire nel corso della tua vita”.
L’animo del giovane chiese un segno e subito si formò quanto chiedeva con due aspetti diversi. Il primo, che viene descritto al secondo capitolo dove si parla della stupefacente possibilità di creare coincidenze significative, è rivolto espressamente a lui, l’altro si rese evidente subito dopo sulla fronte di un sacerdote. [Appendice 3]
Quando molte altre anime faranno la stessa richiesta, ci sarà un segno come al tempo dell’ultima piaga in Egitto. Pensando agli storici, stufi di ripetere che la storia è, più spesso di quanto si crede, destinata a riproporsi, si guarderebbe con minor sufficienza i segni premonitori. Allora furono segnate col sangue le porte delle case per salvare i primogeniti da un angelo sterminatore; in questi tempi, chi riceverà quel dono del Padre atto a distinguerlo, sarà risparmiato nel Giorno dell’Ira! Come per Giuseppe, anche il vostro segno avrà due aspetti, uno tangibile, l’altro astratto ma dal medesimo effetto.
Il giorno successivo, fu consegnata una seconda copia della bozza del libro a un ragazzo che si era offerto di leggerla per dare la sua opinione. Egli, la sera successiva, suonò alla porta per riconsegnarla. In quel momento l’Indecifrabile era in cantina occupato con la caldaia, per cui gridò al visitatore: «Sto preparando per accendere il fuoco, un attimo di pazienza che vengo, ho quasi finito.»
«Lo so, ardo d’impazienza.»
Quella risposta inaspettata lo fece risalire velocemente le scale per andare ad aprirgli. Sui gradini davanti la porta c’era il giovane sui vent’anni che al momento nemmeno riconobbe. Il sole, ormai al tramonto, ne illuminava i capelli cambiandone la tonalità e dal volto parevano sprigionarsi riflessi di bronzo. Il tono di voce, leggermente metallico mentre porgeva il libro, lo meravigliò ancora di più: «Signore, se vuole posso colpire chi lo ha tradito, non serve che me lo chieda, basta che possa pensare che lei lo voglia.»
Aveva pronunciato quelle strane parole fissandolo con decisione negli occhi. Lui scrutò quello sguardo temendo per un istante di leggervi l’odio, ma vi scoprì in profondità solo tanta tristezza. Poi l’attenzione fu attratta dalla sua mano sinistra, era stretta su qualcosa, pareva essere il calcio di una pistola infilata nella fondina alla cintura. Forse aveva lasciato di proposito che si scostasse il pesante giubbotto che indossava.
«Senti caro ragazzo, credi che io non possa disporre di armi ben più letali e distruttive delle tue? Io posso solo consigliarti di avere fiducia nel Disegno che sta realizzandosi e aspettare, poiché non è giunto ancora il giorno dell’ira, ed è questo tutto ciò che sento di doverti chiedere.»
Perdonate queste digressioni, sono necessarie per capire i diversi livelli di pensiero che si avvicendano nella mente di ogni scrittore mosso dal desiderio di donare ad altri parte di sé. Sarà utile inserirli in queste pagine e un modo per farlo agevolmente è quello di tornare un attimo alla fine degli anni settanta, dopo l’inquietante episodio descritto nel terzo capitolo. Al termine del particolareggiato racconto di quella drammatica esperienza, non saranno pochi coloro che vedranno affiorare una sconcertante analogia tra quella singolare avventura e le visioni tramandate da alcuni veggenti. Potranno anche scoprire che essi attribuirono a quanto visto, chi il valore di una Iniziazione, chi l’importanza di una leggendaria Investitura.
In quei giorni lontani l’istinto suggerì al nostro “eroe” di sopportare ogni sofferenza ed evitare di reagire alle provocazioni; la decisione di addossarsi quel gravoso impegno, fu presa dopo aver osservato le già tante analogie tra le sue insolite vicissitudini e quanto sostenuto da molte profezie, formulate nel corso dei secoli e relative alla tanto esecrata figura dell’Anticristo.
Successivamente, scremando gli orpelli fu possibile sovrapporre perfettamente l’idea forma di quella figura messianica che per molti rappresenta il bene, a quella che solo rari illuminati rifiutarono quale espressione del male. Identificare la figura del Cristo con quella del suo Avversario è una operazione concettuale che può apparire impossibile a compiersi ma, nel caso che stiamo trattando, è stata suggerita proprio dal caso. Cercare riscontro ai numerosi indizi, valutando l’opportunità di dover ricoprire un ruolo così poco simpatico, anzi, decisamente diabolico, lo portò a riflettere sul motivo delle azioni, fossero pure delle semplici parole che, così spesso, ferivano il suo animo quando non dettate da sentimenti sinceri. Tanta sensibilità, che di per sé non è molto frequente, era incompatibile con la personalità attribuita a l’Anticristo da tanti veggenti. Quella che per molti aspetti si rivelava una figura ben più enigmatica di quanto si potesse supporre, ad alcuni visionari si era mostrata come una possente entità benefica. La sola capace di dare attuazione alle parole attribuite al Cristo; parole ispirate da condividere, indipendentemente dal fatto se egli sia realmente esistito.
Ecco finalmente la spiegazione di tanti turbamenti e tante sofferenze, semplici anelli di una catena che avrebbe permesso di legare indissolubilmente due delle infinite espressioni del Divino. Sarebbe stato proprio il dolore sofferto per le identiche ragioni a rendere possibile l’incredibile simbiosi. Come accadde con il Cristo, solo chi si mostrava capace di scorgere ogni forma materiale alla luce dell’intuizione, vedendo la Bestia e udendone i segreti lamenti, avrebbe saputo condividere la sua sofferenza.
Attribuendo al protagonista una sensibilità non comune si darà il via a commenti ironici e alle smorfie di incredulità in chi ritiene di averlo conosciuto e frequentato. È facilmente intuibile la ragione per cui alle volte egli abbia simulato atteggiamenti che sembrarono superficiali o una totale indifferenza. Se sfogliando una rivista che documentava la morte di tanti bimbi per le ragioni più assurde, avesse ceduto alla disperazione e, piangendo avrebbe urlato le vere cause, i motivi inconfessabili che permettevano quelle atrocità, non sarebbe rimasto certo inascoltato, lo avrebbero immediatamente internato in qualche istituto per disabili psichici.
Queste difficoltà si presentano a chiunque rivendichi dal profondo dell’animo l’identità con il Cristo; a quel punto si realizza anche l’unicità con gli Ultimi e si sceglie di non lasciarli. Sono trascorsi duemila anni da quando, a chi proclamava alle genti la necessità della condivisione, fu riservata la croce; all’Anticristo, al condottiero che William Blake sostiene debba guidarvi al momento dell’assalto del Cielo, a colui che rende la sua anima e il suo corpo duri come il diamante per divenire l’ariete pronto a scardinare le porte del Paradiso, di quella dimensione a cui tutti anelano, cosa riserverete?
Oggi c’è solo una risposta a questa domanda, quando l’ultimo tra voi avrà passato la soglia, questo ormai inutile ariete verrà bruciato, sarà scordato fino al giorno in cui altre porte, di altri Eden, dovranno essere aperte.
Nelle versioni precedenti furono presentati alcuni fatti che vennero interpretati senza badare se apparivano banali o tendenziosi. Sarebbe puerile e sciocco continuare a farlo, poiché rappresentavano solo delle pietre d’inciampo temporanee che ora non sono più necessarie e sulle quali i ricercatori del Vero più smaliziati non devono cadere.
Riproporli tra queste pagine sarebbe controproducente perché renderebbe meno credibile ciò che da tempo si va affermando: “È probabile che gli eventi annunciati dai profeti di ogni epoca e di ogni credo, relativi alla inquietante figura dell’Anticristo, si siano in gran parte già verificati, mentre altri stanno gradualmente realizzandosi per sua volontà.”
È evidente che per ogni parola scritta su questi fogli, sarà possibile trovare una spiegazione completamente diversa se ci si lascia guidare da sentimenti che non sono stati sublimati e che hanno i giorni contati; essi sono: l’invidia, la prepotenza, l’egoismo, l’orgoglio, la mai sufficientemente biasimata indifferenza e altri con altrettante negative peculiarità.
“Colui che ha nel cuore l’inclinazione all’errore, è sempre alla ricerca di cavilli, sottigliezze, interpretazioni differenziate.” (Corano: III, 7)
Sarà riconducibile al caso il modo in cui gli giunse il passo coranico usato a sostegno delle sue parole? Mentre digitava il suo convincimento filosofico sulla tastiera, intuì necessario che lo stesso concetto fosse stato diffuso da un grande innovatore; doveva trovarsi vergato su di un libro di riconosciuta importanza. Sentì imperioso l’impulso di verificare se qualcuno l’avesse già fatto; pensò che era come cercare un ago nel pagliaio ma chiuse il computer. Non poteva fermarsi, era spinto da motivi più profondi che dal compiere una semplice passeggiata.
E così, assieme a Gilly, una donna che conosceva da tempo, andò al solito negozio di libri usati. Entrando, un solo volume, posto nella vetrina, attirò subito l’attenzione: per caso, proprio la prima pagina conteneva quella perla di saggezza che si è voluto infilare tra queste righe perché gradualmente si chiarisca il significato del manoscritto.
Dicendo di esser mosso dalla necessità di proporvi ciò che la mente di un saggio ha intuito, egli cade in contraddizione sostenendo di essere libero da ogni vincolo. Questo modo espressivo appare inconciliabile solo a una analisi superficiale, in realtà l’uso dei termini devo, voglio, desidero ecc… potrebbero comodamente venir sostituiti, nessuno escluso, con la parola amo. Scrivere un libro senza di essi, dovete riconoscerlo, è molto arduo; più difficile ancora far credere che si ami conoscere la vostra interpretazione degli episodi riportati, che si ami ciò che al termine della lettura sarà lasciato nelle vostre menti e, soprattutto, che si ami coinvolgervi nella storia che nessuno poteva scrivere.
L’importanza dell’atto d’amare risulta chiara quando si comprende che esso permette di scoprire-creare alcuni di voi incapaci di ricercare sottigliezze ed errori in questo scritto. Alla fine è proprio la gioia di creare che porta ad agire per gli altri.
Il racconto riguarda il percorso, unico nel suo genere, che il protagonista segue; un percorso di vita che, pur senza alcuna ambizione, né compiacimento, si può definire esaltante. Una via che porta a determinare uno sconvolgimento planetario e, i molti indizi lasciati tra queste pagine, per poter assurgere a prove, dovranno essere attentamente vagliati da voi senza pregiudizi.
Sembrerà strano, a quanti si accostano per la prima volta a questi temi, che i termini usati per indicare il diabolico “666”, siano spesso quelli adoperati per designare quanto di più nobile ci sia.
Altrettanto strano il fatto che, pur indicando degli obiettivi tanto utopici da apparire spirituali, si possa scegliere di indossare i panni del figlio del Maligno.
Con ironia va ricordato che, per ottenere un buon raccolto, ci si deve prima sporcare col letame. Tenetelo a mente e, se riuscirete a credere, che uno spirito realizzato è libero d’amare l’anima più sperduta al pari di quanto ama voi, ne comprenderete il machiavellico fine e lo sosterrete.
“Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete?… Siate dunque perfetti come perfetto è il Padre vostro.” (Matteo: 5/46-48)
Molti non comprenderanno chiaramente ciò che si sta annunciando, esterneranno il loro sdegno, cercheranno di distruggere il Messaggero con le accuse più subdole e certamente diranno: “Dovrà esserci della ferma contrapposizione tra i due, tra il Messia dei nostri padri e l’Anticristo. Tra noi che rappresentiamo il bene, rispettando la volontà del nostro Signore e coloro che scelgono di seguire la Bestia. Noi creeremo quantomeno un’insanabile frattura, non saremo così pazzi da imitare chi scende a compromessi con il Male, noi lotteremo per distruggerlo.”
Essi non vengono nemmeno sfiorati dal pensiero che un Cristo, o chiunque incarni valori universalmente riconosciuti, coerenti con le ispirate parole riportate da Matteo, possano amarlo fino a condividere le sue sofferenze… fino a essere lui! E dunque… protetto e guidato dal Padre al pari di ogni altro essere. Questa verità è difficile da accettare, non è da tutti saper riconoscere quella legge particolare che permette di trascendere le dimensioni conosciute: “quando si Ama si È”.
Si pensa di trovare le ragioni dell’esistenza prima e meglio di chi è privo di titolo accademico; si ritiene pure di poter distinguere tra ciò che è reale o perlomeno possibile e ciò che non lo è.
Benvenuti i nuovi saggi, perché si vedrà così realizzarsi l’ennesima profezia relativa ai tempi della Fine:
“Verrà il giorno che i saggi saranno ritenuti pazzi e i pazzi saggi!”
Infatti, gli occhi di Dio, di ogni possibile Dio, vedono le fedi basate sul dualismo come pura follia. Mai come ora, tante menti sono state così vicine alla comprensione di questa verità. Ora, va detto, questo non impedirà che altre menti si rivelino molto ostinate nel rifiutarla. Amico, fratello, inquieto viandante cosmico che percorri l’eterna via e che ritrovi in queste righe le qualità proprie di uno spirito identico al tuo, ci rivolgiamo a te per dirti che ci sono infinite ragioni per cui raggiungerai la tua meta; se affermiamo che al momento siamo solo Noi a volerlo, tu ti ritrai, ti senti defraudato della tua libertà. Ma tu… tu ti sei mai chiesto realmente quale sia questo traguardo? Hai mai trascorso giorni e notti con questa domanda nella mente? Hai rinunciato a tutto ciò che ti potesse distrarre dal compito di scoprirlo? Hai lottato semplicemente per amore della Verità e per esser degno di ricevere la risposta? Medita senza pregiudizi per intendere rettamente questo breve racconto e ti accorgerai di volare verso il filo di lana. L’ultima Rivelazione, che riveste la più grande importanza, è la prima a dover essere realizzata:
“Il Cristo e l’Anticristo sono Uno e, poiché siete a loro immagine e somiglianza, in queste pagine scoprirete il loro fulgido esempio“
Scolpisci infine queste parole nel tuo cuore e rammentale, se puoi, a ogni pagina: “Come l’ala della colomba si serve dell’aria per poter volare, così tu dovrai servirti della saggezza per librarti nella felicità che saprai donare.”
Passò del tempo da quando iniziarono a circolare le prime sintetiche copie di questo scritto. Lo scopo era quello di vedere se la visione proposta, aveva qualche possibilità di essere condivisa o almeno di venir valutata senza pregiudizi.
L’invito a intraprendere la via della conoscenza e di addestrarsi all’azione impeccabile non fu correttamente compreso, dunque si dovevano inserire nel contesto altre indicazioni. Serviranno a riflettere sulla Meta che eternamente attende e sul modo più idoneo a raggiungerla.
Obiettivo prioritario dunque, di chi condividerà ogni visione olistica e trascendente, sarà quello di adoperarsi, ove umanamente possibile, per ridare a ogni ambiente la sua funzione originale: quella di ospitare ogni forma di vita, anche le più umili, nel modo voluto dalle leggi naturali. Quelle leggi non si adeguano a quelle concepite da uomini con cariche politiche più o meno importanti, non possono essere discusse, varate e nemmeno calpestate impunemente.
Chi si opporrà a un tale progetto, ed è naturale che ciò avvenga, non potrà più ingannare i popoli con la missione di esportare la democrazia. Egli sarà il solo responsabile dell’effimero sollazzo del mucchio brulicante di vermi che, a causa della sua protervia, contribuirà a soddisfare.
Molte parti di questo scritto paiono oscure, altre vengono puntualmente irrise soprattutto da coloro ai quali la presunzione impedisce di ammettere che un dubbio, su tali argomenti, possa essere legittimo. È bene si sappia che proprio quelle persone saccenti domani non riusciranno a trovare il filo! Per condividere la visione che lentamente si va delineando, ci si dovrà servire di alcuni luminosi indizi. Essi sono stati posti da mani compassionevoli in epoche e luoghi diversi affinché fossero trovati al momento opportuno.
“Dio visiterà il mondo con la religione dei S. Crociferi, derisi sul principio dagli increduli… ma dopo la vittoria… il loro riso si tramuterà in pianto. I Crociferi faran stragi immense, e si vedran scorrere fiumi di sangue dei ribelli a Dio.” (S. Francesco di Paola)
“Arriverà un giorno in cui sarà necessario distruggere tutto ciò che ha portato l’uomo a prevalere sull’uomo.” (La Monaca di Dresda)
Al fine di ottenere una più ampia comprensione del Piano, è importante che i passi profetici, citati mentre ci si inoltra in questa romanzesca vicenda, vengano comparati con la descrizione degli eventi vissuti dal protagonista e dagli altri interpreti del racconto; molti di quei passi sono tratti scrupolosamente dagli scritti di mistici saliti agli onori degli altari. Le loro profetiche parole dovrebbero far riflettere soprattutto i credenti, ossia coloro che, senza secondi fini, seguono i consigli del proprio animo; quei mistici vengono ricordati per le virtù e i meriti spirituali che molti fedeli tengono in particolare considerazione e quindi, è possibile giustificare chi si rifiuta caparbiamente di ascoltare i loro accorati appelli? Certamente, è più utile ricordare che gli argomenti, a sostegno della credibilità di quei messaggi, sono posti fra queste pagine come fiori a lato del sentiero che state percorrendo. Chinatevi con umiltà per assaporare il loro profumo e inebriare il vostro animo.
Grazie all’intuizione, con un fulmineo sguardo nel futuro, si vedrà quest’opera diffondersi e divenire motivo di scontro inevitabile, terribile e definitivo, in una parola: Apocalittico! Siate ciononostante sereni e fiduciosi, è stato scritto che non un solo capello del vostro capo perirà. Lo Spirito veglierà sul vostro animo; crederlo sarà difficile, ma riuscire a farlo è meraviglioso. Auguratevi di ricordarlo quando sorgerà il sospetto che si cerchi d’ingannarvi per qualche scopo inconfessabile; tenetelo a mente anche quando sembrerà che si voglia semplicemente stupirvi parlando di una dimensione dove l’impossibile rappresenta la norma.
Lo sviluppo di questa storia, meravigliosamente vera, appare di volta in volta oscura, ripetitiva, contraddittoria e inflessibile, poiché si cancella con decisione quanto prima sostenuto con estrema fermezza. Un metodo migliore per lasciarvi liberi di accettare o meno le parole vergate con tanto sacrificio è introvabile, oltre la verità, non c’è altro. Che gli infiniti aspetti della realtà si svelino in modo straordinario dipende solo da voi, da un vostro semplice atto di volontà o, se preferite, di consapevolezza. Il vostro spirito è onnipotente, rendetevene conto e potrete richiamarlo in azione più rapidamente di quanto possiate supporre.
Se quanto leggerete fosse logico, razionale e vergato con stile impeccabile in quanto l’autore vanta titoli accademici, la vostra mente comprenderebbe perfettamente; ma talvolta è segno di ingenuità, altre di presunzione, ritenere che le infinite espressioni di un ipotetico Dio si limitino a ciò che trova riscontri e possa venir riprodotto sperimentalmente. In questo caso, esigere da Lui un capolavoro letterario, sarebbe come pretendere che gli alberi siano sempre posti dove possano farci ombra invece di essere sistemati a caso sulla superficie del pianeta.
Queste pagine dunque rappresentano un fenomeno naturale semisconosciuto… esse vanno studiate con amore e umiltà perché un giorno ci si possa servire dell’energia che emanano.
Alcune tradizioni profetiche fanno dei riferimenti ai tre padri dell’Anticristo; il compito di uno di questi fu quello d’impedire che lo Scriba prescelto smettesse di scrivere il nostro racconto.
Il personaggio in questione, nel corso della sua vita ebbe occasione di parlare, seppur per pochi istanti, con chi ha lasciato una profonda traccia di sé nella storia. Fa piacere ricordare i nomi di alcuni: parlò con Kennedy, Jung, Rommel e altri dello stesso spessore; a questi è doveroso aggiungere la madre di Salvo D’aquisto perché si comprenda che, dei semplici insegnamenti, impartiti in giovane età possono, con altrettanta semplicità, cambiare la Storia.
È soprattutto da anime come la sua che si apprende la capacità di donare eroicamente la propria vita.
L’uomo destinato a fornire la spinta decisiva necessaria al completamento dell’Opera, era ormai giunto al tramonto quando gli Autori lo incontrarono. Dava l’impressione di non credere negli esseri pensanti, nella loro capacità d’amare; ciononostante mostrava l’ansia di trasmettere quello di cui andava certo: vedeva profilarsi nere nubi di tempesta e, a sostegno di quanto asseriva, citava profezie antiche e recenti di mistici d’ogni razza e paese.
Cercando dei riscontri a quelle che venivano sottoposte per suo tramite, si sarebbe impiegata una vita; al nostro Scriba però sembrava ormai chiaro il compito che lo attendeva. Intuiva dietro a certi eventi apparentemente normali, un disegno difficile già da concepire… volerlo realizzare poi… meglio non parlarne. Si sarebbe certamente arreso se non avesse avuto la ferrea certezza che, col tempo, le prove a favore della tesi che andava proponendo, sarebbero divenute più numerose ed evidenti anche senza un suo intervento cosciente.
Alle volte, quel “pazzo” che aveva il prezioso dono della saggezza, dimenticava il suo pessimismo e sembrava volesse prendersi la rivincita sulle pene che aveva sofferto affermando solennemente, quasi fosse una verità rivelata, il dovere dell’uomo di adorare .. … ….., lasciandoci sorpresi e e divertiti.
Nelle discussioni che spesso sorgevano, in qualche occasione gli venivano poste delle obiezioni; non ci si poteva esimere dal farlo quando affermava che prima della fine, per lui apocalittica nel senso più catastrofico del termine, l’Inghilterra avrebbe avuto un re claudicante il cui nome sarebbe iniziato con la lettera “C”.
La previsione era fuori luogo e sembrava presentare poca o nessuna attinenza con la realtà. Lui ribadiva la serietà delle sue parole raccontando l’incidente capitato al Principe Carlo durante una partita di polo: una caduta da cavallo che gli procurò un handicap permanente a cui si era posto rimedio ricorrendo a una calzatura ortopedica. Allora, sul ciglio della via che altri avrebbero scelto di seguire, poneva per gli increduli l’onere di trovare i riscontri alle tante previsioni che sarebbero giunte incessanti.
Egli dunque, fu visto dai veggenti come un personaggio dalla profonda esperienza, forte di una conoscenza enciclopedica e di una fede incrollabile; ma, per quanto stravagante, retaggio questo delle tante sofferenze patite, tra cui ben tre condanne a morte evitate per un soffio, in base ai suoi racconti estremamente veritieri, l’apporto che fornì al nostro Scriba si rivelò determinante.
Durante gli incontri, immancabilmente sorgevano elementi utili al completamento dell’Opera; questo, unito alla profonda affinità dei loro animi, lo spinse a considerarlo come un secondo padre e non per calcolo ma per affetto sincero.
Quello che si crede strettamente fisiologico, ha lasciato un vago ricordo ma sufficiente per poterne parlare in seguito, si vedrà così che le due figure, unite solo dalla profonda considerazione che il protagonista nutrì per esse, si presentarono in due distinti periodi per lasciare entrambe un segno indelebile. Un commosso ringraziamento quindi, a quel gran conoscitore delle miserie umane.
Ora saranno esposti i primi riscontri ricavati dal libro sulle profezie che il caso mise tra le mani del protagonista; il personaggio che talvolta si cela dietro il sipario. Tali indizi sono giunti ai posteri tramite la setta del “Great Sunset” nell’Oregon. Era questa una confraternita attiva in quelle contrade circa due secoli prima della fatidica soglia dell’anno duemila. Si vedrà in seguito che ha saputo dare, dei luoghi e degli eventi riguardanti l’Anticristo, una descrizione precisa che, per uno scherzo del caso, corrisponde pienamente ai luoghi frequentati e agli episodi che, trenta anni prima dello scadere del secondo millennio, segnarono profondamente l’esistenza del nostro misterioso attore. I suoi adepti ebbero in grande considerazione il padre adottivo, il Fisherman, in quanto ritenuto colui che sarebbe stato designato a infondere la sapienza a l’Antilegge.
A conferma della loro abilità nel prevedere gli avvenimenti futuri, si deve aggiungere che gli stessi adepti dell’Oregon, pensarono a un porto di mare come il luogo destinato a ricevere la nascita del “Figlio delle Tenebre o dell’Ultima Ora”. Detto questo, si constata che essi si dimostrarono perfettamente idonei allo scopo per cui si erano associati e che non temevano di dichiarare pubblicamente: preparare la via all’Antilegge. Lo fecero parlando in anticipo degli eventi che lo avrebbero caratterizzato alla sua apparizione.
Sarà superfluo ogni commento sulla loro precisione nel formulare questa previsione e quelle che più avanti saranno esposte; però va posta una ironica domanda riguardo il suo vero progenitore: sarà quello comune a tutti, oppure, scomoda eccezione, si tratta del Maligno? Ai posteri, come si usa dire, l’ardua sentenza. Saranno forse d’aiuto le parole con cui sua madre lo feriva: «Tuo papà disi che non te son suo fio».
Il commentatore del primo libro sulle profezie che il caso lo spinse a leggere, scrisse che il “figlio dell’Ultima Ora”, avrebbe trascorso la gioventù in un quartiere periferico, ed è proprio in tale ambiente che il protagonista di questa storia passò i suoi primi anni di vita. Altri passi profetici rivelano che la terra, prescelta quale luogo della nascita, sarebbe stata lambita dal mare, “amante dolce” e, un osservatore posto sulle alture dinanzi a Capodistria, nota che tale descrizione si sposa perfettamente. La piccola cittadina è tra i porti più importanti dell’Adriatico e, nonostante i recenti lavori di bonifica, appare tuttora circondata dal mare; essa, per lungo tratto viene lambita da acque che paiono quelle di uno stagno, basse e immote.
Lo scritto della banda di “assatanati” dell’Oregon, pare una esplicita conferma delle parole di Caterina Emmerich, una famosa mistica nata nel 1774 che, durante un’estasi, descrisse minutamente la città di Ur, giungendo a indicarne con esattezza l’ubicazione sotterranea in Caldea. La sua descrizione fu raccolta tre decadi dopo da un archeologo americano, un certo Taylor, il quale, eseguiti gli scavi nel luogo indicato dalla Emmerich, mise alla luce le vie, le case e le piazze descritte dalla mistica con la massima precisione. Ella disse pure:
“Se non sbaglio, conobbi proprio allora che cinquanta anni circa prima del Duemila, Lucifero sarebbe stato messo in libertà!” (Caterina Emmerich)
“Il suo primo nido sarà di pietra, accanto a l’onda del mare… verrà quando la pianta perde le sue foglie (alle nostre latitudini ciò avviene in ottobre) crescerà dove il cuore del formicaio finisce per lasciare il prato alle piccole formiche”… “Egli perciò dovrebbe nascere intorno l’anno 1949-1950.” (S. Brigida)
Numerose profezie, molte coincidenze e alcune recenti intuizioni scientifiche, faranno apparire possibile la sconvolgente ipotesi che verrà illustrata su queste pagine in tutte le sue sfumature.
In un paese, posto sulla costa dell’Istria, a pochi metri dal mare, l’otto ottobre del 1949, qualcosa di indefinibile si rivestì della forma di un bimbo e rivolse nuovamente gli occhi sulle miserie e gli splendori del mondo. Molto prima che questo accadesse, quella santa riuscì a vederlo, se fu in grado di profetizzarlo con tale precisione e, grazie ai tanti indizi profusi in questa storia, si vedrà che la possibilità di scrutare al di là del tempo non è una prerogativa esclusiva dei mistici cristiani.
Tra i tanti che si sono sentiti in dovere di tramandare le loro visioni, anche gli adepti della setta dell’Oregon mostrarono questa capacità ma, essendo deputati a preparare l’avvento dell’Anticristo, non possono al momento esser considerati dei cristiani.
Dai vaticini riportati fino a questo punto e da quelli che verranno presentati in seguito, si potrà trarre la convinzione che sia possibile intuire gli accadimenti futuri.
Meditando su quelle profetiche parole, lo Spirito che tutto pervade farà scoprire la ragione, non determinata da una causa, per cui ciò avviene. Si avrà la certezza che ogni evento accaduto ha lo scopo di farvi raggiungere la Realizzazione.
«O voi, sì! Proprio voi… uomini sommi che il mio occhio incontra, questo mi fa ridere segretamente: siete talmente estranei alla Grandezza, che per voi sarò terribile nella mia Bontà.» (Nietzsche)
Si è scelto questo pensiero, suggerito dallo spirito immortale a un uomo che ha lasciato una profonda traccia di sé, per introdurre un tema o piuttosto una domanda che sembra molto pertinente. Si tratta di trovare un termine appropriato per le stragi immani dei propri nemici che il Dio di ogni credo si riserva, perché tali olocausti, secondo tutte le religioni, nessuna esclusa, sono chiaramente prospettati.
I non credenti che, grazie alla lettura di questi fogli, avranno modo di conoscere il nuovo paradigma, non cercheranno quei segni che preludono al mutamento e sosterranno di trovarsi di fronte a un’endemica e prevedibile follia collettiva. Dei veggenti hanno parlato anche di questa situazione e annunciarono che una insensata frenesia si sarebbe presentata puntuale all’imbrunire della storia per divenire un “segno” indelebile sulla via evolutiva.
Chi ancora professa senza ipocrisia una qualsiasi fede, se non raggiunge la semplicità di un fanciullo, non potrà scoprire la vera ragione di tanti avvenimenti mentre si avvicina a grandi passi la fine del Millennio. Privi di quel tipo di innocenza, si pensa che i disperati suicidi di massa, le guerre e le stragi che si ripetono con sempre maggior frequenza come prodromi di un’inevitabile Apocalisse, siano solo le conseguenze di un tragico fato.
Solo chi ha l’animo di un bambino potrà pensare che il destino di un uomo possa essere anche quello di dare spessore a un’ombra che rivendica la capacità di interpretare la trinessenza in quest’epoca inquietante.
Come si è visto, questa possibilità, viene riconosciuta anche a voi dalle prime pagine di questo scritto. Il merito di averlo redatto va indubbiamente al caso e sempre ad esso si ascrive la possibilità di servirsi del messaggio profetico coniato da un uomo che, sebbene aspramente criticato, trova indiscutibilmente posto tra i grandi. Domani si dirà che ciò è stato fatto affinché si realizzasse con puntualità quanto da altri fu predetto:
“Verrà il giorno che qualcuno userà le parole dei profeti.”
Per giorno va certamente inteso il periodo di sconvolgimenti profondi e terribili che la semplice logica deduttiva indica imminenti. Questa considerazione, lascerebbe il tempo che trova se non fosse condivisa da uomini di grande esperienza e da un nucleo di ricercatori sempre più consistente. Ora dovremo aspettarci di sentir sorgere le prime contestazioni: “Chi siete per assegnare a Nietzsche la veste profetica, non possiamo accettarlo, egli era un peccatore, un esaltato che morì pazzo e chissà cos’altro”. Ebbene, ai contestatori va ricordato che i giudizi dell’Essenza che pervade ogni cosa, sono altri… non sono generati dall’intelletto né dall’intuizione e, in queste pagine, troverete descritte molte curiose coincidenze tra ciò che fu predetto e gli episodi che costellarono l’esistenza del protagonista principale di questa storia. Potranno essere motivo di riflessione soprattutto per chi non dispone di quel importante accessorio cognitivo dell’anima chiamato intuito.
A proposito di ciò, va colta l’occasione per suggerire di accettare con le dovute riserve i vaticini esposti; il tempo, gli uomini e il nozionismo, che è una qualità ben inferiore alla saggezza, possono aver determinato alcune inesattezze. Siano comunque le benvenute, poiché questi particolari imprecisi non sono privi di uno scopo; essi dovranno costituire motivo d’inciampo solo per chi volutamente ostacola la costruzione del Regno. Per gli altri, il consiglio da seguire è questo: il desiderio di credere non deve sopraffare la volontà di conoscere, si cerchi dunque la verità per amore della verità.
È necessario stimolare la curiosità e lanciare contemporaneamente un appello alla prudenza poiché, molte sezioni di questo scritto, potranno sembrare noiose, banali e completamente slegate le une dalle altre. Proseguendo nella lettura, si noterà che tra gli elementi, inseriti negli undici capitoli che compongono il libro, esiste un legame profondo, sono correlati tra loro a dispetto del fattore temporale. Si stanno realizzando eventi trascendenti ma, le insuperabili difficoltà che il tempo sa porre, in questo caso non possono rivelarsi un ostacolo.
Il racconto diverrà più coinvolgente portando dei particolari sulla situazione familiare negli anni cinquanta di quel piccolo diavoletto. Troveremo assieme degli elementi che corrispondano perfettamente a profezie e tradizioni.
È stato detto che il padre, a quel tempo, ricopriva la carica di Commissario del Popolo, tra le sue mansioni vi era quella di assegnare gli alloggi agli ufficiali dell’Armata Popolare. A causa della penuria di vani, molte famiglie ospitarono un militare. È intuibile che, al pari delle altre, pure la sua famiglia si adeguasse alle disposizioni vigenti. Anche sotto il loro tetto c’era la figura di un soldato.
“L’Anticristo sarà generato all’ombra della spada.”
Per questa profezia, dispiace di non poter citare il nome dell’ispirato personaggio che la formulò ma vale la pena aggiungere quanto scrisse un ricercatore specializzato nel genere: “Accanto a un soldato, un guerriero”.
Sarà utile conoscere ciò che alcuni mistici intuirono riguardo tradizioni considerate di minor importanza senza per questo rivelarsi meno precise. Il caso continua ad assecondare l’intento di fornirvi indizi a sostegno di una ipotesi talmente straordinaria da apparire irreale. Nonostante siano stati consultati molti volumi che trattano questi temi, si continuano a trovare, nelle circostanze più curiose, elementi degni di essere inseriti nel contesto di questa storia.
In uno di questi tomi, fu rilevato ciò che solo a pochi poteva esser noto: l’esistenza del fratellastro dell’Anticristo. Una figura che ben pochi conoscono in quanto fu vista solo da veggenti di minor spessore. Oltre a questo, l’autore fa sapere che in base alle sue ricerche, l’Anticristo avrebbe avuto due nomi. In effetti, le leggi allora in vigore, imposero a quel diavoletto due nomi diversi per i rispettivi paesi. A quei tempi, nella Zona B amministrata dalla Jugoslavia, diversamente dalla Zona A amministrata dall’Italia, era possibile per un uomo non sposato riconoscere e dare il proprio nome a un figlio illegittimo.
Al riguardo è superfluo aggiungere dell’altro, basti ricordare la tradizione, comune a molte sette, che vede per l’Anticristo una vecchia madre sdentata, cadente e rugosa; se di questa leggenda non vi è l’apporto profetico, continuando il nostro gioco si può dire che c’è il sostegno dell’evidenza.
Oggi, alla sua veneranda età, il suo aspetto è purtroppo quello di una vecchia cadente. Infine, abusando della vostra pazienza, ancora una profezia di cui da tempo si è persa la fonte ma che richiama fedelmente la figura che per un breve periodo si pose accanto alla famiglia scelta dal fato per accompagnare l’Antilegge:
“Attorno a lui, della stessa sua famiglia, ce n’è una che fu meretrice, ma poi non verrà riconosciuta.”
Già dalle prime esperienze di vita, le domande a cui l’umanità da sempre attende risposta, iniziarono a sorgere nella sua mente. Quei misteri erano destinati a rimanere senza un perché per molto, moltissimo tempo. Bisogna riconoscere in effetti, quanto fosse di difficile soluzione già il primo quesito, frutto di una drammatica situazione vissuta. Oggi, vista come una allegoria sul destino delle persone, potrebbe rappresentare la più semplice spiegazione: Quel cavallo bianco che riesce a liberarsi dalle pastoie materiali, porta verso la gioia della libertà anche i suoi simili.
Il giorno che se lo pose, sul finire dell’inverno del 1953, giocava seduto in mezzo alla strada. A un tratto fu distolto da un sordo brontolio; alzò di scatto la testa e sbarrò gli occhi, tra la polvere che si alzava in fondo alla via vide le teste di molti cavalli che scalpitavano come impazziti. Davanti a essi un cavallo bianco si rizzava maestoso sulle zampe posteriori; sovrastava tutti e un soldato dell’Armata Popolare lo tratteneva con difficoltà per le redini. Con uno strattone l’animale si liberò e iniziò la sua corsa verso di lui seguito dagli altri.
Il tempo parve arrestarsi, affascinato da quello spettacolo, rimase immobile ad ammirarne la potenza. Poi quel attimo indimenticabile fu interrotto da una carezza. La lieve carezza di un soffio di vento che lo portò a percepire qualcosa di tremendo… di sfuggente.
L’istante successivo, l’istinto, o meglio l’egoismo non cosciente, lo spinse a lato della strada gettandolo attraverso le maglie di un reticolato.
Il senso di sicurezza che ne derivò gli permise di analizzare le impressioni di quei momenti. Poi, le congetture si arrestarono di fronte a delle pressanti richieste interiori. Si chiedeva, con l’ingenuità propria dei bambini, perché una situazione che avrebbe potuto causare del dolore fosse stata permessa da chi tutto poteva.
Assieme a questa domanda, un’altra più complessa si presentò: quale era il motivo per cui aveva evitato una morte certa?
A quella giovane età un altro episodio lasciò nel suo animo un profondo interrogativo che, col trascorrere degli anni, si arricchì di ulteriori incognite.
La circostanza di cui si parla era già stata inserita nelle prime bozze del libro ma poi venne inavvertitamente cancellata e infine dimenticata. Fu un sottufficiale dei carabinieri a riportarla alla mente del nostro Scriba e a suggerirgli di vergare questa incredibile storia per superare il trauma della separazione in corso.
Accadde un mattino nel suo ufficio.
Era un uomo tarchiato, dallo sguardo penetrante, con dei baffi folti, spessi, e un sigaro onnipresente tra i denti. Quell’uomo trasandato che aveva chiesto di parlargli pensò dovesse causare non poca inquietudine in certi ambienti malfamati. Stava immobile sulla porta e lui sembrò sentire la sua presenza, perché alzò la testa dalle carte sparse sul tavolo e sorrise. Masticando il sigaro lo invitò a entrare.
«Oh, carissimo! Come mai da queste parti?»
«In questo periodo penso molto a Laura e cerco ogni pretesto per continuare a parlare di lei. Ho finito di scrivere il capitolo relativo ai ventitré giorni che abbiamo trascorso assieme e mi sono venuti in mente alcuni particolari che potrebbero servire a far luce sulla sua morte. Credo –continuò senza attendere il suo intervento – spetti a lei valutarne l’importanza.» Gli espose quanto sapeva, poi, concluse mestamente: «Se la causa della sua fine è veramente quella che io ho ipotizzato, la giustizia degli uomini non potrà mai colpire il responsabile. Solo la peste del secolo, obbedendo a una giustizia superiore lo farà.»
Mormorò le ultime parole in modo impercettibile, tanto da non essere udito dal sottufficiale. Come aveva previsto, sei anni dopo, quando nessuno cercava più il colpevole della morte di Laura, l’aids lo trovò; era l’ennesima dimostrazione del fatto che troppo spesso, per pensare a semplici coincidenze, riuscisse a intuire gli eventi che sarebbero accaduti.
Mentre annuiva con una rapida smorfia, tolse dalla tasca una bozza del testo e la posò sulla scrivania.
«Ho voluto dedicarle qualche riga, le legga, sa che ci tengo alla sua opinione.»
Lui prese il libro facendolo scorrere sul piano del tavolo come una carta da gioco e si trincerò dietro la cortina fumogena del suo sigaro. L’altro rimase immobile ma dal lampo nello sguardo si intuiva che si aspettava di trovare l’asso che gli avrebbe permesso di vincere la partita contro lo Stato. Cominciò a leggere con attenzione la parte iniziale in cui veniva tracciata la figura di una insolita Prostituta. Pareva accettare con riluttanza l’idea che il destino avesse assegnato al suo interlocutore come compagna una donna di strada. Non dava l’impressione di frequentare le donne di malaffare ma non evidenziava neppure alcuna somiglianza con quel personaggio che fu crocifisso, quello che simpatizzava per i derelitti e si indignava con gli ipocriti. Poi, addentrandosi nelle pagine che seguivano, i lineamenti del militare si distesero assumendo una espressione ispirata.
Terminata la lettura, sentenziò con una frase che pareva essergli stata suggerita: «Questi ultimi fogli sono… come devo dire… voglio essere sincero… li vedo troppo duri, riprendi puntualmente lo stesso concetto in modo ossessivo, “aspro”, quasi paranoico, non sembri rimanere con i piedi per terra.»
“O grande Roma la tua rovina s’avvicina, non delle mura tue, ma della tua gente: “aspro” con lettere farà sì orribil squarcio, la spada a tutti fino all’elsa immergerà.” (Nostradamus: X/65)
Ecco! I piedi a terra! Si rivide per un istante quando a quattro anni giocava con un bambino alto una testa più di lui. Il ragazzino gli chiedeva insistente che andasse a saltare, coi piedi nudi sopra dei cocci di bottiglia, a l’altro lato della via e lui accoglieva la richiesta per poi meravigliarsi della sua espressione stupefatta. Perché tanto incredulo stupore? Pensava ingenuamente. Anche per questa domanda, attese a lungo prima di avere la risposta. Passarono più di venti anni da quel gioco assurdo; il tempo necessario per intuire che il caso stesse giocandogli degli scherzi atroci, allo scopo di fargli intraprendere un’opera immane e quel semplice episodio bastava a rincuorarlo; se il caso aveva voluto che non riportasse nemmeno una scalfittura, saltellando come un grillo su dei vetri, sempre per lo stesso imperscrutabile motivo, sarebbe potuto accadere qualcosa di altrettanto o maggiormente improbabile: l’Apocalisse appunto.
Il sottufficiale non fece caso alla sua aria assente e riprese la sua critica consigliandogli di toglierli, lui obiettò sostenendo che la reale comprensione non poteva essere conseguita estrapolando l’ultima parte, dello scritto, dal contesto che precedeva la storia di Laura. Allora si fece pensieroso, corrugò la fronte e rimase a lungo in silenzio. Alla fine annuì col capo: «Forse hai ragione, forse quelle righe rappresentano la pennellata finale del grande artista.»
Aveva quattro anni o poco più quando i suoi genitori decisero di lasciare Isola per tornare a Trieste e stabilirsi a Servola; a quel tempo, un rione decisamente periferico. Per raggiungere la loro casa si percorreva la via dei Giardini che, per un lungo tratto, non era neppure asfaltata.
Passarono meno di quattro anni che i suoi si separarono. Sua madre raccolse le sue poche cose e si trasferì in una catapecchia di quattro metri per quattro divisa da una parete di faesite. Era così malandata che, dopo ogni temporale, bisognava raccogliere con uno straccio l’acqua tracimata dalle bacinelle sparse sul pavimento. Nessuno, al pari di lui, può testimoniare quanto intenso fu il dolore e il rammarico, seguiti alla sua decisione di allontanarsi e cessare ogni rapporto con il padre del nostro Scriba; però le parole trovate in una lettera profetica del XIV° secolo, rinvenute durante i lavori di restauro nella antica abbazia di Cluny, paiono descrivere perfettamente il rimpianto che tanto a lungo ferì l’animo di sua madre.
“Il fiore del male verrà innaffiato con le lagrime del pentimento.”
Il breve e spensierato periodo trascorso in quella casa di Servola, oggi in rovina, suscitò in seguito emozioni nostalgiche non potendo capire ciò che allora si agitava nell’animo dei suoi genitori. Credeva di essere al sicuro presso la sua famiglia, di averne una come tutti e che niente avrebbe sciolto il legame che li univa.
Beata ingenuità, se così fosse stato, i suoi si sarebbero opposti alla direzione didattica quando decise di spedirlo in una classe “differenziale” perché… pronunciava parole “senza senso”. Infatti, per prendere una simile decisione, capace di imprimere una svolta cruciale alla vita di ogni bambino, non bastano poche parole in un sloveno distorto, appreso in tenera età a Isola, un paesino istriano a misura d’uomo. Quando gli tornarono improvvise alla mente, mostrò ai compagni di classe di conoscerle e ciò lo inorgoglì, quasi possedesse un sapere negato ad altri. Oggi l’esperienza lo porta a credere che quel provvedimento lo si debba attribuire piuttosto al comportamento tenuto nel refettorio della scuola elementare. Gli consegnarono una ciotola di alluminio e delle posate annerite e ammaccate; dovevano servirsi di quella roba per poter mangiare. Lui per primo si stupì per l’indignazione mostrata scandendo ad alta voce: “mi no magno in quele gamele per i porchi”, facendo divampare la rivolta degli altri bambini con la sua prima ingenua contestazione.
Fortunatamente certi doni vengono elargiti poco a poco. Se avesse saputo che lo stavano indirizzando verso una meta irraggiungibile con le sue sole forze, probabilmente avrebbe rinunciato a compiere il primo passo.
Era quello il suo destino e sarebbe stato terribile. Sarebbe stato sottoposto, per volontà del caso, a delle prove particolari d’una crudeltà inaudita. Le circostanze sarebbero state sì diverse, ma avrebbero avuto in comune la stessa drammatica finalità: farlo esplorare la via sulla quale altri si sarebbero in seguito incamminati. Un percorso che a volte poteva e doveva rivelarsi spaventoso.
Poche cose possono turbare come quella notte che nel sogno si ritrovò dentro una bara: guardava terrorizzato il suo corpo già parzialmente divorato da grossi vermi brulicanti. Era morto ma non ne accettava l’idea. Ciò che rimaneva di lui doveva assolutamente uscire da quella tomba. Il suo compito doveva essere quello di renderlo utile a qualcosa di diverso, di più nobile che sfamare dei vermi.
Riuscì a risvegliarsi e balzare dal letto con un urlo solo dopo aver visto un raggio di luna posarsi sul suo petto: una lama di luce filtrante tra le tavole marce che era riuscito a spezzare con le ossa delle mani ormai scarnificate.
Quando, tra pianti convulsi, raccontò l’orribile incubo ai suoi genitori, forse infastiditi dal brusco risveglio, non ritennero necessario consolarlo nemmeno con una carezza. Chiunque concorda che a sei anni, quanti ne aveva allora, fosse suo diritto riceverla; alla vista del Roveto Ardente, se colti impreparati, molti potrebbero morirne, non c’è da dubitarne.
Nella storia si fa uso di questa immagine allegorica perché, come certamente saprete, il Roveto del racconto biblico rappresenta una manifestazione del divino; del trascendente che entra in contatto con l’uomo. Può sembrare inopportuno associarla proprio a quel terrore così intenso che lo assalì e che avrebbe potuto spezzare cuori ben più saldi del suo, ma va seguito questo allegorico filo d’Arianna con pazienza e si troveranno molti altri punti dove il trascendente si manifesta per chi ha occhi per vedere. Si vedrà con quanta semplicità questo possa avvenire nel capitolo dedicato a Laura, quando lei esprime dei dubbi sulla esistenza di Dio. Fate attenzione agli innumerevoli indizi che fino ad allora troverete in queste pagine, perché, se verranno correttamente individuati, permetteranno di avere la sua stessa visione.
Diverrà chiaro perché in realtà nulla di ciò che è manifesto si divide in bene o in male ma sono entrambi strumenti idonei a realizzare il Piano che si può scorgere da ogni dimensione. Una simile opera può essere realizzata da chiunque divenga cosciente che ogni cosa, dalle più comuni fino a quelle “impossibili”… possa esistere internamente a qualcosa che per convenzione molti chiamano Dio. Solo allora, si inizia gradualmente a sperimentare la gioia, quella particolare gioia indescrivibile che deriva dalla percezione, delle infinite espressioni, di qualcosa di cui si dubitava perfino l’esistenza.
A quella età, le giornate trascorrevano prevalentemente in battaglie interminabili fra bande. Torme di ragazzini che si riunivano per giurare eterna fedeltà ai capi e ai loro proclami ma che si dissolvevano per l’ora di cena. È curioso quanto il loro modo di organizzarsi sia stato simile alle società democratiche; questo fa pensare alla possibilità che, raggiunta la maturità spirituale, da adulti si scelga un’espressione di società ben più evoluta. Nel ricordare il tempo perduto in sciocche contrapposizioni, tutti dovrebbero pentirsi per aver difeso strenuamente ideali, ingenuamente ritenuti tali. Oggi, riguardo le armi diaboliche che mirano a cancellare la vita sul pianeta, la nostalgica soluzione è quella di tornare bambini ma non per ricorrere alle fionde, alle lance rudimentali, alle pietre e agli archi ricavati dalle stecche degli ombrelli; piuttosto quella di dirimere ogni questione ricorrendo a una autorità paterna. Non è il momento di far invertire il tempo, è prematuro cercare di gestire tale legge; una legge che contiene in sé i presupposti per manifestarsi.
C’è da sorridere pensando al giorno che decise ostinato di non indietreggiare e venne circondato da una torma urlante di “nemici”. Fu immediatamente catturato e, dopo un rapido consulto, i suoi carcerieri decisero di sottoporlo alla fustigazione con dei rovi pieni di spine. Il trattamento non gli risultava essere conforme ai diritti di un prigioniero inerme e dunque cercò freneticamente una soluzione. Pensò immediatamente alla figura austera di suo padre e subito scartò la possibilità di ventilare il suo intervento, non sarebbe stato credibile dai suoi nemici perché l’appoggio di un adulto, in quelle circostanze, era molto improbabile, aveva di certo ben altro cui pensare. In quella battaglia era sì stato sconfitto, ma questo non giustificava il loro desiderio di vederlo vergognosamente umiliato. Dopotutto aveva fatto il suo dovere fino in fondo. Prospettò così l’intervento di suo fratello che, a quel tempo, era un giovane sui ventisette anni, alto e imponente. Con suo grande sollievo il suo interessamento fu più credibile e lo liberarono senza indugi. Considerata la differenza d’età e il fatto che i loro rapporti si limitavano a qualche scambio di battute, fu probabilmente la gratitudine per la sua ipotetica protezione ad accrescere il suo affetto nei suoi confronti. Oggi, come allora, per riversare l’amicizia, la stima o l’amore su qualcuno, ogni pretesto gli sembra valido.
Negli anni spensierati della prima infanzia, a parte l’incubo indimenticabile, i giorni si succedevano senza far posto a situazioni di rilievo; ci sono solo un paio di ricordi drammatici. Il primo riguarda il giorno della partenza da Isola, il grande dolore e quel totale smarrimento che lo colse quando suo padre, in mezzo alla via, sollevò lentamente la mano per l’ultimo saluto e vide la sua figura svanire poco a poco mentre si allontanava con la macchina. Il secondo fu quando Dado, come ancora si ostina a chiamarlo, venne colpito da un grave malore sul posto di lavoro e la madre ne fu informata in sua presenza. Lei, appena intuì la gravità del fatto, iniziò a urlare e piangere disperata.
Abituato solo ai suoi rimbrotti, la scena di tanta disperazione lo investì lasciandolo ammutolito. La guardava come se improvvisamente dovesse accadere qualcosa di straordinariamente terribile. I compagni di suo fratello nel frattempo erano usciti in silenzio e la madre continuava a disperarsi battendo i pugni sulle pareti. Era immobile e la fissava impotente, sconvolto dal dispiacere, a un tratto le gambe si piegarono da sole e cadde in ginocchio, un pensiero stava attraversando la mente: non c’era forse quel buon Dio capace d’ogni cosa di cui tanti parlavano? Alzò lo sguardo e implorò: «Dio…, – disse a voce alta – tu che sei anche il Padre di tutti, non farlo morire, guarda mia madre, non posso vederla soffrire così, non ne ho la forza, salvalo.»
Gli sembrò di udire la voce di suo padre dal giardino: «Vivrà, sta sicuro… vivrà… ma dovrà molto patire.»
«Mamma… mamma… hai sentito? – gridò tirandola per il vestito – papà dice che non c’è pericolo che Dado muoia, ma starà solo tanto male.»
La madre lo guardò stupita, poiché nella camera c’erano solo loro; pensò non avesse capito che la risposta era giunta da fuori e allora si diresse alla finestra. Montò sulla sedia, spinse le persiane e spostò il ramo d’alloro per vedere in ogni punto del giardino, ma lui non c’era più, voleva chiedergli di ripeterle ciò che aveva sentito perché anche lei potesse tranquillizzarsi. Doveva essersi allontanato velocemente e non se ne stupì, sapeva che con Dado suo padre non aveva alcun dialogo e nemmeno lo cercava.
Molti anni dopo, suo fratello fu fatto lentamente ma inesorabilmente a pezzi a causa del morbo di Burgher.
Per la figura paterna, che gli dimostrava ciò che credeva affetto solo con qualche raro sorriso, aveva una profonda considerazione. Riteneva i suoi ancor più rari insegnamenti, giusti e indiscutibili. Era lui a dirlo, era suo padre, lui non poteva sbagliare. Oggi quei rari consigli sono tuttora dentro di lui, immutabili. In un’occasione ebbe a dirgli: “Verrà il giorno che ti dovrai fidare di qualcuno, se ora non sei capace di fidarti di tuo padre, in quel giorno sarai perduto”. Impartì quella lezione durante una circostanza da lui vissuta come una situazione d’estremo pericolo.
Erano usciti con la barca per pescare e stazionavano poco oltre la diga. Era affascinato dai pesci appena catturati che nuotavano nervosamente nel secchio sul fondo dello scafo e ne seguiva con attenzione ogni movimento. A un certo punto un’onda improvvisa, più violenta delle altre, inclinò la piccola battana rovesciandoli sul pavimento. Si trovarono tutti ad annaspare tra i suoi piedi e lui, impressionato, sollevò lo sguardo. Il cielo si era fatto scuro, lasciava presagire una terribile tempesta, nubi nere giungevano da tutte le parti nella loro direzione quasi ci fosse, il tacito accordo, di scatenare sui due il loro furore. Le onde sempre più irruenti, quando lambivano il bordo, parevano volersi impadronire di quel guscio sul punto di rovesciarsi.
Spaventato al punto di evitare il minimo movimento; riusciva solo a supplicare suo padre di riportarlo a terra. Gli ricordava piangendo che non sapeva nuotare e se fosse caduto in acqua sarebbe di sicuro annegato. Dapprima egli si mostrò sordo alle richieste e infastidito dalla sua insistenza; poi finalmente acconsentì e tirò a sé la corda dell’ancora.
La sua paura si trasformò in terrore quando disse che doveva essersi incastrata tra le rocce. Lo vide strattonare la corda, riprovò diverse volte e, a ogni tentativo, il piccolo scafo oscillava sempre più pericolosamente. Sempre più impaurito, lo pregò di tagliare la fune, di rinunciare a l’ancora, di non farlo morire a causa di un pezzo di ferro ma replicò con quelle parole sibilline che ricorda ancora. In quel frangente, sibilò con tono ironico che avrebbe dovuto attendere il tempo necessario affinché salvasse tutto il salvabile; non sapeva di aggiungere al suo gran spavento una inutile crudeltà.
“E sarà un figlio della Terra, figlio di un “pescatore”, figlio di un pastore a far ritrovare al gregge umano la via della Vita con lotta quotidiana contro l’annientamento, la morte, i massacri che l’odio e il potere segnano da sempre. E trarrà conoscenza dal Pescator Sapiente.” (Ultimi Presagi pag. 168)
Poco prima della loro separazione, la madre a causa delle ristrettezze economiche, fu indotta ad affidarlo al collegio di via Pascoli: l’ E. C. A., l’ente comunale di assistenza. Lì la rigida disciplina, assicurata dagli assistenti durante il giorno per mezzo delle punizioni più stupide e crudeli, si allentava durante la notte, al punto di consentire ai più smaliziati di rendere partecipi dei loro giochi innominabili i più deboli e indifesi.
“È umoristico immaginare l’Anticristo in un grande refettorio di qualche comunità; un refettorio dalle pareti bianche, sulle quali spicca un Crocifisso. È umoristico pensare all’Anticristo che, tra un cucchiaio di minestra e un pezzo di pane, incrocia lo sguardo con gli altri compagni, o magari con i superiori”.
Il commento di cui sopra, è del tedesco E. Wolstaft, ed è stato tratto da un suo scritto risalente al lontano 1904. Il Baschera invece, circa ottanta anni dopo, a proposito del vaticino, scrive:
– Considerando l’Antimessia nella sua maturità, cioè nella sua levatura storica, nella tradizione, nella leggenda, tutto ciò può anche generare dell’ilarità. Ma analizzando il personaggio più profondamente, è possibile capire che anche questa esperienza può esser stata necessaria per arrivare alla sua singolare formazione definitiva. –
“Dio esalterà un uomo poverissimo del sangue di Costantino. (cioè di sangue slavo) Tale uomo sarà quasi santo in adolescenza, nella gioventù gran peccatore, poi tornerà a essere santo.” (S. Francesco di Paola)
La vita del collegio era scandita da ritmi precisi; per ogni attività gli assistenti stabilivano un orario da rispettare ma quello riservato ai giochi nel grande piazzale era il più atteso. Per gioco si inventavano pistole infallibili con semplici pezzi di legno e si ideavano trame che nulla avevano da invidiare a – Ombre rosse –. Talvolta però, fatto inconsueto, la sua strana personalità lo spingeva a interpretare il ruolo d’un ascetico saggio silenzioso. Sarà facile credere che venisse puntualmente estromesso dai suoi compagni, dopo esser stato deriso, con quella crudeltà incosciente propria dei bambini. Venir messo da parte dai suoi coetanei, con sempre maggior frequenza, non era certo piacevole, pertanto era costretto nel tempo libero a rifugiarsi nella lettura. Grazie a quelle letture, ora può disporre di un certo grado di fantasia e deve ringraziare chi allora lo ha schernito ed emarginato; gli hanno permesso di conoscere e apprezzare Salgari, Verne, l’Enciclopedia della favola Russa e tutti gli altri innumerevoli racconti che, a quel tempo, abbattevano per lui le soffocanti mura dell’Istituto.
La primavera era iniziata da poco, l’attesa per le gite del fine settimana fuori dal collegio era evidente. Quella domenica mattina, li portarono come sempre nella piccola chiesa a l’interno dell’istituto per assistere alla funzione religiosa. Il profumo dell’incenso che in ampie volute si diffondeva nella navata e quella musica d’organo celestiale mai udita prima, improvvisamente parvero indicare al suo animo una Realtà diversa, dove il sublime, il meraviglioso e l’amore fossero la norma. In quel particolare stato di coscienza, il racconto del sacrificio di Cristo permeava quella realtà; rimase talmente turbato da ripromettersi di fare un giorno lo stesso per i suoi simili. Sarebbe stato altrettanto meraviglioso, ne era certo, come era certo di dover operare al fine di migliorare quella realtà che ogni giorno sperimentava.
In base ai pensieri di quel tempo, avrebbe potuto descriversi come un piccolo paranoico megalomane. Un presuntuoso che possedeva un ottimismo insensato riguardo le sue capacità ma un esserino dal quale guardarsi, che abbracciava progetti immensamente più grandi di lui e credeva in qualcosa di più grande di qualsiasi progetto; se in ciò consiste tutt’ora lo sbaglio, egli potrà pure morirne ma lo farà ai piedi della torre più alta, là dove ha posto la cosa più preziosa e niente potrà farlo ricredere.
«L’Anticristo giungerà al calare del sole e radunerà i pochi fedeli per demolire la falsa strada. Verrà oltraggiato, tradito, percosso e ucciso dagli uomini. Ma agli uomini insegnerà una via “ancora più giusta di quella che il Cristo tracciò”.” – L’Anticristo – pag. 201
Iniziò così a saggiare le sue forze e laddove riscontrava una debolezza, testardo più di un mulo, caparbiamente si costringeva a superarla. Si obbligava a perdonare chi sottraeva dal suo pacco i biscotti acquistati con sacrificio dalla madre e chi addossava a lui le sue responsabilità per evitare le severe punizioni. Oltre alle tante auto imposizioni, durante la pausa di ricreazione, avendo cura di non farsi sorprendere, si colpiva con una pietra il dorso delle mani. Di certo non era affatto divertente ma intuiva che, per il timore del dolore fisico, avrebbe potuto un giorno recedere dal suo proposito e dunque doveva allenarsi a superare soprattutto quella paura. Divenne capace di subire i dolorosi castighi corporali che gli venivano inflitti da l’assistente o, su sua indicazione, dai suoi stessi compagni, senza nemmeno socchiudere gli occhi sotto i loro colpi.
A questo punto, chi non intuisce un valido motivo per quello strano comportamento e lo ritenga frutto di un innaturale trasporto verso la sofferenza fine a se stessa, farà meglio a bruciare questi fogli. Dalle fiamme che si leveranno, forse trarrà l’illuminazione necessaria per non fare la stessa fine.
Da un lato questo progresso personale poteva dirsi positivo, d’altro canto contribuiva ad accrescere, senza che ne fosse consapevole, un orgoglio ingestibile.
Un sottile cambiamento era avvenuto ma non solo in lui; ora purtroppo aveva assunto il ruolo poco piacevole di capro espiatorio; ogniqualvolta scaturiva della tensione tra la sua sezione, composta da una ventina di ragazzi e il suo responsabile o tra i suoi stessi compagni, puntualmente ne faceva le spese.
I motivi per cui gli venivano inflitte le punizioni erano sostanzialmente diversi dalle ragioni per le quali gli altri le subivano. Cercò inutilmente una possibile spiegazione per gli atteggiamenti ostili e di quella astiosità così caparbia; non ne trovò alcuna ma migliorò la capacità di introspezione.
I momenti per poter esercitare questa qualità non mancarono di certo, quando l’assistente rientrava nel salone e notava una certa turbolenza nella squadra, non trovando il responsabile, sceglieva uno a caso per dare a tutti una lezione di civiltà e lo consegnava in crociera.
Era questo, il termine beffardo, col quale veniva indicata la punizione che li costringeva a trascorrere ore interminabili in piedi, immobili e con la faccia contro il muro. Quasi sempre era lui il prescelto perché, già allora, si cercava di smorzare i cenni di ribellione che abbozzava. Per ridare forza al carattere che andava formandosi, bastava che udisse cantare -Ribelle- da Adriano Celentano.
Una sera, al momento del rituale “esame di coscienza”, erano tutti in fila seminudi su l’attenti, in silenziosa attesa di fare i “conti”. L’uomo magro, vestito di un lungo camice nero e dai capelli impomatati, stava al centro della sala con un piccolo notes tra le mani. L’angoscia palpabile che si respirava in quel luogo, particolarmente luminoso a causa del rivestimento di ceramiche bianche, rendeva tutto ciò più surreale.
Faceva freddo in quel momento e, in quello stesso istante, in tutte le case, gli altri bambini stavano sotto le coperte con la loro mamma vicino. Chissà che belle favole stavano ascoltando, mentre lui, era in attesa di udire il suo nome assieme a quello di un compagno, un certo Zagor. L’uomo, servendosi di una minuscola matita, scorreva rapido il suo libretto. Accennò un ghigno di soddisfazione, che sparì mentre li chiamava.
Era da pochi giorni nella nuova sezione ma aveva già assistito a qualche “conteggio” e sapeva cosa lo aspettava. Avanzò lentamente e si arrestò alla distanza di quattro mattonelle dal suo compagno di squadra; dovevano colpirsi, con uno schiaffo a testa, per dieci volte.
L’educatore li guardava arcigno. Aspettavano lo schiocco delle sue dita, sarebbe stato quello il segnale d’inizio.
Il bambino che avevo davanti cominciò per primo, il suo colpo fu simile a una frustata… e ora… toccava a lui. Posò piangendo la mano sul suo viso e lo accarezzò.
Le urla furibonde di Bilota lo assordarono immediatamente quasi quanto i colpi che continuava a ricevere ma le sue si rivelarono sempre e solo delle carezze. Alla fine del conteggio, l’educatore, indispettito da quel comportamento, lo afferrò per le basette e prese a tirarle verso l’alto costringendolo a stare in equilibrio sulle punte per attenuare il dolore lancinante. Finalmente, soddisfatto dai suoi gemiti, con un’ultima sberla lo rispedì nella fila e, mentre rientrava nei ranghi, gli assegnò frettolosamente sul suo notes una trentina d’ore di crociera supplementari.
Veniva da tutti considerata la punizione peggiore, consisteva nello stare su l’attenti, immobili davanti a una parete mentre gli altri erano liberi di giocare. In seguito, passato a un’altra sezione, la situazione non migliorò, ogni assistente mostrava la sua predilezione per una qualche forma repressiva e non si faceva scrupolo di abusarne. Il giorno che, al solito, venne accusato dai suoi compagni di una colpa che non gli spettava tutti i tentativi di provare la sua estraneità furono ignorati da l’educatore.
Sapeva che quella era una giornata particolare, alla sera si sarebbe svolto lo spettacolo annuale nel refettorio e tutti erano euforici. Ci sarebbero stati degli ospiti esterni e lui avrebbe dovuto recitare in una scenetta. Era quasi una sfida per lui, doveva indossare uno scafandro fatto con il cartone degli imballaggi per interpretare il ruolo di un robot inanimato ma si era prefisso delle minime varianti. Sarebbero state sufficienti a far capire ai suoi compagni che anche lui aveva un cuore e un’Anima? Era la sola possibilità che aveva di farli riflettere sul suo bisogno di esser trattato come tutti e non poteva sprecarla, doveva riuscirci.
Quella sera nel salone, sulle panche sistemate accanto a quelle dei maschi, ci sarebbero state anche le bambine delle sezioni femminili e la loro sensibilità poteva essergli d’aiuto. Si proponeva di esporre platealmente cosa intendeva per amicizia, se otteneva il loro commosso consenso in quella circostanza, avrebbe raggiunto lo scopo di migliorare i rapporti con i suoi compagni.
A pomeriggio inoltrato, al momento di scendere assieme alla squadra, l’assistente lo chiamò facendogli gelare il sangue: «Ei… Mau Mau, tu rimani in camerata, così impari per la prossima volta, quando chiederò chi è stato, verrai fuori subito!»
Mentre si dirigeva verso lo stanzone buio, pensò con amara ironia che avrebbe volentieri rinunciato a collezionare ingiustizie, anche a costo di rimetterci una mano. Quel giorno, di tutto il collegio, era l’unico a essere punito e senza meritarlo.
Si buttò sul letto e, mentre stava per dare sfogo a tutta la sua amarezza, per la prima volta nella vita, si impose testardo di non versare nemmeno una lacrima. Erano tornate alla mente le parole sprezzanti dell’educatore: «Sei un selvaggio, un Mau Mau, e non puoi stare assieme a noi.»
Pensò che avesse ragione ma forse almeno da quegli esseri primitivi e senza malizia sarebbe stato accettato. Cominciò a fantasticare e ricordò che tra quei popoli, per essere un guerriero e farne parte a pieno titolo, si doveva esser sottoposti alla “prova di coraggio“. Da loro, le sue lacrime sarebbero state viste come un segno di resa. Era davvero strano l’impulso di frenare il pianto, perché mai sentiva la necessità di dimostrare d’essere un guerriero e allo stesso tempo intuiva che nessuno avrebbe potuto costringerlo a combattere? La soluzione pareva inserita da sempre nei suoi geni ribelli. Forse era un elemento particolare perché non avrebbe mai accettato di sottoporsi a un battesimo del fuoco. Era questo l’inevitabile prova di coraggio, in uso nei paesi civili, che trovò descritta con crudo realismo sulla rivista -Storia Illustrata-. Lo rifiutava, non certo per paura ma semplicemente perché considerava i suoi diretti superiori, fino ai potenti personaggi che apparivano sui giornali e alla televisione, degli inetti; incapaci di provare la legittimità di qualsiasi scontro.
Seguitò a rincorrere le sue fantasie, fissando le tende che ricevevano i primi raggi dai lampioni attraverso le persiane; a un certo punto notò che per un curioso gioco di luci e ombre, sulla tenda si stagliava la figura di un vecchio pellerossa. Immerso in quei pensieri, i rumori della via giungevano attenuati dalle doppie finestre. Poi, forse a causa del traffico che si era fatto più intenso, le varietà dei rumori aumentarono a tal punto che cominciarono a sembrare parole sussurrate. Iniziò così un gioco inusuale, provò a mettere insieme le note dodecafoniche che più ricordavano qualche parola, forse avrebbero composto una frase con un senso compiuto. Attribuirla a quella figura immaginaria, permeata di saggezza, forse avrebbe fatto svanire la tristezza. Alla fine dell’insolito gioco, riordinando le parole scritte a casaccio, con stupore risultarono essere un consiglio che ricorda ancora oggi: “Un uomo non piange mai per sé, conserva le sue lacrime per versarle al posto degli altri”. Quel poco invidiabile privilegio di rivestire il ruolo del capro espiatorio, perdurò anche dopo la sua espulsione dal collegio. Il severo e inusuale provvedimento fu preso e motivato con l’accusa lungimirante di essere un Mau Mau e un sobillatore. Lasciato l’austero portone alle spalle, pensò che finalmente poteva respirare l’aria della libertà, ma ben presto dovette ricredersi.
A ogni modo, gli anni del collegio non si rivelarono inutili. Lasciarono la ferma convinzione che, per essere rispettato nella ragione e non vedere conculcati i suoi diritti, doveva acquisire una volontà irriducibile e allenare contemporaneamente quel corpo di adolescente, uno strumento che poteva rivelarsi altrettanto importante.
Da un paio d’ore stava rovistando tra le macerie della risiera di San Sabba, il macabro campo di sterminio nazista, alla ricerca di pezzi di ferro, piombo, fili di rame e altro, quando un uomo sulla quarantina, distintamente vestito, si avvicinò con circospezione.
Dopo essersi informato del perché si trovasse tra quei cumuli di macerie, si offrì di indicargli dove avrebbe potuto trovare in abbondanza quello che cercava.
Alla richiesta di maggiori spiegazioni, si chinò accanto posandogli una mano sulla spalla. La sua eccessiva confidenza lo spinse a reagire solamente con un brusco gesto di fastidio.
Forse questo determinò in lui la convinzione di poterlo sopraffare facilmente, scambiò la sua ingenua reazione per una timida resistenza alla sua libidine. Troppo tardi comprese quali fossero le sue reali intenzioni: stava lottando e le sue mani gli attanagliavano la gola. Si difese strenuamente per alcuni minuti urlando con tutte le forze, era certo che se fosse riuscito a saziare le sue voglie lo avrebbe ucciso. Con la sua disperata resistenza doveva aver scatenato in lui gli istinti più bestiali e adesso si trattava della sua vita contro la sua impunità.
Solo il caso o qualcosa di altrettanto indefinibile riuscì a impedirlo; richiamato dalle urla, un operaio del vicino pastificio decise finalmente di prendere una scala e affacciarsi al muro di cinta dello stabilimento. Per scendere sul lato opposto sarebbe bastato un balzo, ma lui non poteva farlo, probabilmente considerò che quella aggressione non rappresentava un giustificato motivo per abbandonare il suo posto e interrompere la produzione; era pagato per produrre, non per fare il buon samaritano.
La scena che si presentò ai suoi occhi appariva in tutta la sua cruda violenza, egli stupidamente chiese al maniaco, quasi con garbo, chi fosse e cosa stesse facendo. A quel punto, vistosi scoperto, l’aggressore si ricompose in fretta e, senza dire una parola ma ostentando una gran calma, si allontanò lasciandolo a terra in un pianto convulso. Superato in parte lo shock si rialzò tremante e fece la ripida salita del Ratto della Pileria per raggiungere la caserma dei carabinieri. Al militare che aprì, spiegò di aver subito una aggressione da parte di un uomo che, per pochi istanti, non era riuscito a ucciderlo. Lui lo fece accomodare nella stanza accanto l’ufficio del comandante; finalmente poteva raccontare l’accaduto e accompagnarli ad attendere l’aggressore dove di certo sarebbe passato. Sbagliava, attese a lungo, mentre la rabbia pareva mordergli le viscere sempre più ferocemente. Nel mentre stava per andarsene, quattro uomini entrarono assieme e vollero che ripetesse quanto detto al piantone. Rimasero in silenzio, poi, lasciandolo ammutolito, uno di loro disse che per lui l’episodio descritto era frutto della sua fantasia e creato allo scopo di ottenere della “pubblicità”.
Era pazzesco! Rifiutava di credere a quanto aveva udito, cosa rispondere a chi era tenuto a tutelarlo? Era in diritto di combattere, ormai da uomo, contro chi aveva tentato di disonorarlo e ucciderlo? Era una domanda alla quale cercò di trovare risposta, ed è una domanda che ogni giorno si ripresenta ancora a migliaia di bambini.
In seguito cercò inutilmente il nesso tra l’assurdo convincimento del carabiniere e la sua richiesta di aiuto ma, mentre digitava l’episodio sulla tastiera, l’intuito presentò due possibili spiegazioni. La prima suggeriva che l’istinto rifiuti l’idea che un nostro simile sia così ignobile, perché scoprirlo è deprimente. La seconda, più probabile, indicava che il militare intuì, sotto la soglia della coscienza, quanto incisive potevano essere le parole di quel ragazzino per un singolo individuo e quanto importanti sarebbero divenute, qualora fossero state scritte, per il futuro di tutti.
La loro diffusione inarrestabile, come le pestilenze nei secolo bui, poteva rendere inutili quelle figure in divisa. Il solo intelletto non lasciava immaginare che al momento giusto, ci avrebbero pensato uomini e donne eccezionali a far rullare i tamburi di guerra per mezzo di opere letterarie.
Per non far torto agli autori citandone solo alcuni, diremo semplicemente che i “romanzi spirituali” che da qualche tempo abbondano nelle librerie, ottengono lo scopo di far conoscere e apprezzare gli stessi sentimenti che hanno scosso, e continuano a scuotere, il suo animo. Quei racconti socchiudono una piccola finestra nella coscienza di tanti lettori, permettendo così, alle emozioni rinnegate di entrare. Quelle sensazioni, divenute familiari, non verranno abbandonate e li accompagneranno nel corso della loro vita. Il nostro Scriba lo comprese posando lo sguardo sul volume acquistato allo scopo di cimentarsi con punteggiatura e regole grammaticali. Era sul tavolo da lavoro chiuso e non ne conosceva nemmeno la trama eppure, improvvisamente, silenziose lacrime di gratitudine macchiarono i fogli sparsi accanto alla tastiera. Una reazione strana ma ciò che intuiva trovò conferma pochi giorni dopo leggendo sul giornale che dei libri, intrisi di spiritualità e in tutto simili al suo ultimo acquisto, stavano furoreggiando in America, iniziavano a essere apprezzati nel mondo ed erano definiti da un valente critico letterario… le armi di Dio!
Nel momento più adatto dunque, quando le tenebre del materialismo divenivano più fitte, alcuni, senza peraltro esserne pienamente consapevoli, promuovevano la più straordinaria, estesa e accurata campagna pubblicitaria della storia.
Simile a un rito propiziatorio, quel tam tam culturale avrebbe favorito la manifestazione dell’Anticristo. Quei romanzi, frutto di intuizioni e della più accesa speranza, preparavano le menti degli uomini ad accettare un racconto tanto straordinario quanto reale: la storia che state leggendo. Una storia che ognuno di voi, se guidato dallo Spirito, avrebbe potuto continuare a scrivere eternamente.
Chiunque lo vorrà potrà vergare il suo nome sulle pagine dell’opera che in futuro verrà chiamata il Libro della Vita e Terzo Testamento. Un testo che per ora si rivela semplicemente come il primo libro “globale” della storia. Potrà farlo l’anchorman televisivo tanto sgarbato che testimonia, con giovanile irruenza, la morte della giustizia umana. Non essendoci sufficiente misericordia in essa, ne ha colto come pochi l’attimo fatale.
Egli prepara, assieme a molti altri, la strada a colui che dovrà rendere percorribile la via tracciata dal Cristo. Uno dei tanti, un iniziato dell’Oregon di nome Walsit, due secoli addietro, spiegò con grande umiltà quale fosse il compito della sua setta; era quello di rendere la terra pronta a ricevere il seme dell’Anticristo. Oggi dunque, viene occultamente suggerito alle menti più illuminate, come coltivare quello stesso seme.
Potrà vergare il suo nome chiunque voglia esser testimone della crescita di questo Progetto e tutti coloro che, simili a bambini, vorranno colorare il Disegno del Padre.
Probabilmente fu il cinismo con cui era stato seguito il suo racconto concitato a far divampare in lui una furia incontrollabile: “Ma come… perché!… Perché!… Si ripeteva rabbioso appena uscito dalla caserma, non mi viene resa giustizia nemmeno in questa circostanza?… Bene… ci penserò da solo.”
Di corsa, senza badare agli sguardi di chi notava i suoi abiti stracciati, andò verso casa. Senza dare alcuna spiegazione a sua madre che, vedendolo sconvolto, cercò di fermarlo per capire cosa fosse accaduto, prese un’accetta e tornò rapidamente sul posto incurante delle occhiate di chi incrociava. Perlustrò con molta attenzione ma altrettanto inutilmente, le possibili direzioni seguite dal maniaco; era sparito e non era riuscito a punirlo come meritava. Quel giorno voleva fare giustizia e nel momento d’ira l’aveva creduto possibile.
Non passò molto tempo che iniziò a meditare con impegno sulle reali motivazioni di quella drastica decisione; cercò di capire se andava inclusa in quelle che venivano definite impeccabili dai Maestri di vita.
Va ricordato che con questo aggettivo, nei testi di saggezza iniziatica, si qualifica l’azione o il pensiero che non è la diretta conseguenza delle emozioni istintive, per cui non ci si cura delle loro eventuali ripercussioni future.
Per quel episodio, il dilemma più ricorrente riguardava il giusto orientamento tra la punizione e il perdono. L’immancabile risposta, era sempre la stessa: “Chiunque sia chiamato a fare tali scelte, lo sia la vittima, la tribù o uno Stato, per farlo deve possedere una conoscenza ben maggiore della nostra. Chi mai, – si chiedeva, – può vantare una tale sapienza illuminata? A chi mendicare la soluzione? Non c’è testo sacro che non sia contestato e non c’è saggio che non sia disprezzato”. Si poneva quelle domande con ostinazione, deciso a trovare prima o poi una risposta; ma risolvere un tale quesito significava possedere la Conoscenza. Doveva forse raggiungerla lui una tale sapienza? E poi per farne che?
Probabilmente c’erano cose più urgenti e importanti, di certo più piacevoli e interessanti. Rimanere sul ciglio del sentiero, in attesa di vedere quali fossero, non lo entusiasmava poiché, immancabilmente, riprendeva il cammino sulla via della Conoscenza.
Sarà stata la tensione per quella costante ricerca, di un modus vivendi migliore, ad alienargli le simpatie degli insegnanti, dei vicini e di tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, avevano modo di frequentarlo.
Sua madre, costantemente in ansia a ogni minimo contrattempo, fu suggestionata a tal punto, dalle loro critiche, che seguì il consiglio di uno specialista in malattie mentali: lo fece internare in un manicomio per un periodo di “osservazione”.
A sua insaputa, chiese un appuntamento con lo specialista, e durante il colloquio con il medico, che il bambino non ebbe mai il piacere di conoscere, riferì di essere rimasta traumatizzata perché aveva ripagato le sue attenzioni lanciando, con rabbia inspiegabile, i vestiti in mezzo alla strada.
Si trattava di un maglione di lana grezza e un paio di pantaloni corti di color marrone. Lei, caparbia, si ostinava a farglieli indossare anche se gli causavano delle piaghe attorno al collo e sulle cosce quando li portava a lungo. Questo però si era scordata di riferirlo. Solo molti anni dopo ammise di aver chiesto l’aiuto delle Istituzioni in seguito alle pressioni del vicinato. Il giorno che fu spinta a confessarlo, aveva un uomo davanti; stava seduto da molte ore al computer ed era intento a dare le ultime rifiniture al punto in cui si parla del suo ingresso nella tomba della ragione. Ascoltando le sue timide giustificazioni, preferì tacerle che gli si ripresentava la prospettiva dell’internamento. In quella stressante situazione però, il motivo era diverso, la ragione occulta era il contenuto del libro che stava ultimando. Anche la persona che richiedeva un simile provvedimento, da parte delle Autorità, era diversa. Ora si trattava della donna con cui aveva condiviso oltre vent’anni di vita: la sua sposa. Da lei, durante la fase di separazione, veniva accusato e consegnato a quello stesso potere che avevano contrastato assieme per tutto quel tempo.
Dei colpi ripetuti alla porta gli fecero aprire svogliatamente gli occhi. La luce si accese e delle figure vestite di bianco scivolarono rapide attorno al suo letto. Un uomo massiccio dalla faccia gonfia e untuosa gli intimò di vestirsi. «Ora dovrai sbrigarti», disse brusco, «il medico ti attende e non abbiamo tempo da perdere».
Poi aggiunse: «Devi venire con noi senza fare storie».
Percepiva nelle sue parole un’oscura minaccia e qualcosa di inevitabile a cui non avrebbe potuto opporsi. Cercò con gli occhi sua madre, era alle sue spalle e volgeva lo sguardo altrove; suo fratello, seduto sulla sedia d’angolo, si alzò e tese il braccio per dargli la camicia.
«Non voglio venire», brontolò timidamente, «dove dobbiamo andare?»
«Giorgio, ti devono portare per qualche giorno in ospedale, ho parlato con il dottore e dice che ci devi andare prima possibile.»
«Ma se sto bene, perché?… Ho sonno… non voglio vestirmi!»
«Peggio per te…» intervenne la figura bianca accanto al letto, «se preferisci battere i denti puoi farlo, solo fallo piano perché devo guidare».
La sua ironia era fuori luogo, ma perché nessuno interveniva? Dove volevano portarlo? Infilò lentamente i pantaloni e sbuffando anche un maglione. Ora, stava in piedi con i lacci delle scarpe sciolti ma non gli fu dato il tempo di allacciarli.
«Era ora! Adesso puoi salire in macchina assieme al mio amico».
Mentre usciva, guardò sua madre.
«Fai il bravo mi raccomando, domani verrò a informarmi per gli orari delle visite, stai tranquillo».
Non rispose e posò gli occhi sul fucile ad aria compressa, il calcio era stato spezzato a colpi d’ascia.
Era stata lei, passava ore d’angoscia quando spariva per giocare col flobert e tornava al calar del sole. La decisione di distruggerlo era sua ma ne aveva attribuito la responsabilità a Dado. Alcuni giorni prima, al rientro da scuola, aveva trovato la brutta sorpresa. Dopo molti pianti e un solo gesto di stizza, si era rassegnato al fatto di aver perso il giocattolo preferito. Non era possibile che ora, quello scatto d’ira, quel calcio istintivo dato alla gamba del loro tavolino d’osteria, potesse costargli così caro. Non esistevano più praterie sterminate dove poter fuggire, dove, senza posseder nulla, si detiene la cosa più preziosa: la Libertà. La libertà di non sottomettere nessuno, né di farsi imporre nulla.
Salì di malavoglia a bordo dell’ambulanza, delle macchie di sangue al suo interno colpirono la sua attenzione rendendolo inquieto. L’idea di essere un agnello condotto al macello lo agghiacciò, così cercò di distrarsi guardando attraverso i graffi della vernice che ricopriva le finestre del mezzo.
«Mettiti seduto composto e non muoverti… hai capito?»
Il tono perentorio ma soprattutto lo sguardo che non ammetteva repliche, lo costrinsero a raggomitolarsi sul sedile di legno e rimanere così, immobile e in silenzio. Nella notte raggiunsero il padiglione dell’ospedale psichiatrico. Entrando i suoi timori si accrebbero. Il sacchetto di carta con i giornalini gli fu tolto e, ogni porta che gli si apriva davanti, veniva prontamente richiusa con una grande chiave, d’ottone lucente, dopo il loro passaggio.
Entrò infine in un grande dormitorio, (Fig. 4) ricordava vagamente quello del collegio ma doveva esserci qualcosa… un particolare che non riusciva a mettere a fuoco… le finestre!… Sì!… Le finestre erano senza le maniglie, come aveva potuto non accorgersene. Quelle strane tende, non erano tende, erano reti di ferro! Era finito in una trappola ben peggiore dell’ E. C. A.
La conferma arrivò il giorno dopo; prima di dimetterlo, qualcuno dei suoi familiari avrebbe dovuto accettare e sottoscrivere la responsabilità che si prefigurava per la custodia di un pazzo, in caso contrario, sarebbe rimasto nella fossa dei serpenti per sempre.
Per sempre!… Gli sembrava di udire l’eco di quel pensiero. Doveva trovare il modo di fuggire a ogni costo; non avrebbe dovuto essere lì ad ascoltare quei discorsi strani e incomprensibili. Vedere uomini d’ogni età che si denudavano, che correvano, agitando le braccia e urlando senza motivo. Strani esseri che delle volte lo avvicinavano minacciosi, se quello era un castigo, lo era per una colpa che sapeva di non aver commesso.
«Infermier, scusi… cossa la pensa… quando poderò andar fora de questo posto?»
«Fino a quando strizzerai gli occhi il dottore non ti farà uscire… o ti togli quel tic o rimani qui».
«Ma xè una carognada, perché solo mi, xè tanti che ga tic e miga i vien serai qua dentro».
Le ultime parole erano state quasi un urlo e l’uomo dal camice bianco si era immediatamente irrigidito. Poi scrollò la testa senza aggiungere altro e si voltò per allontanarsi.
«Infermier… ma la prego… la ghe disi almeno al dottor… ogni volta che go la febbre e che no posso mover gnanche un dito, Marco vien a darme col bicer sul viso e cerca de cavarme i oci».
«Stai buono! Non usare più quel tono, se ti sente il medico che alzi le ali e crei problemi, ti manda al padiglione Effe; se ancora non te lo hanno detto, quello è il posto dove c’è il reparto dei furiosi e lì, se continui a dare fastidio, puoi immaginare cosa ti aspetta».
Il povero Marco era un bambino subnormale, nonostante fosse inferiore d’età di un paio d’anni, aveva una stazza quasi il doppio della sua e gran parte del suo tempo la passava rinchiuso in una gabbia di corda. Veniva puntualmente liberato quando lui era a letto completamente inerme a causa delle “cure” mediche.
La “terapia” si rivelò da subito un incubo; doveva cercare di apparire tranquillo mentre l’infermiere si accostava con modi bruschi e gli infilava l’ago nel braccio. Doveva costringersi a sperare in qualche Dio per non ritrovarsi a scendere da quel letto con gli occhi strappati da quel povero essere.
Benché tutto si mostrasse fosco e preoccupante, non doveva darsi per vinto; aveva appena dodici anni, d’accordo ma sarebbe cresciuto anche lui e, se il giorno della fuga avrebbe dovuto lottare, doveva esser ben certo di poter vincere. Si doveva allenare di nascosto a ogni occasione ma con prudenza; se veniva scoperto avrebbero potuto intuire il vero scopo di quella mania per lo sport: la libertà!
In effetti, in quel periodo a Trieste, non più di una ventina di persone praticavano il sollevamento pesi. Coltivando quella sbeffeggiata disciplina, si poteva venir considerati affetti da una eccentrica turba mentale. Oltre al leggero tic alle palpebre, era appunto quello sport durissimo, uno dei motivi di apprensione di sua madre. Guardarlo poi, mentre cercava di scoprire nello specchio da barba di suo fratello, altri non ne avevano, gli auspicati miglioramenti del suo tono muscolare era, per lei, arrendersi a l’idea instillatale da altri, di avere un figlio subnormale.
Deve “ringraziare” il trattamento medico ricevuto se rientrò nel termine di degenza fissato per legge. Superato il ventisettesimo giorno di osservazione, dentro quel gulag, si veniva schedati definitivamente come pazzi. La “terapia” prevedeva che gli venisse iniettata una sostanza capace di scatenare una febbre fortissima. Rimaneva così per ore immobile a letto sfinito e dolorante.
In seguito scoprì che lo stesso “trattamento”, basato proprio su quel farmaco infernale, era riservato ai dissidenti, fatti passare scientemente per pazzi, i Unione Sovietica.
Il giorno della dimissione, ricorda che uscendo rimase quasi abbagliato. Pareva tutto più luminoso, quel chiarore così intenso era dovuto alla neve che ricopriva ogni cosa col suo candido manto. Li nevica di rado e quei momenti furono bellissimi. Si commosse al pensiero che potesse trattarsi di un regalo di suo padre per esser riuscito a superare quella terribile prova.
Lo stesso regalo gli fu inviato molti anni dopo per fargli capire che era stato tradito dalla sua sposa e da uno strano personaggio che incontreremo più avanti; un tipo originale al punto da lasciarsi sfuggire che pensava di avere dei buoni motivi per credersi l’Anticristo. Ai due aveva lasciato credere che in un punto preciso del bosco dove spesso si recavano, erano occultate delle armi e una notte, uno strano sogno lo spinse sul posto senza badare al gelo pungente calato improvviso. Trovò decine di orme nel punto preciso, situato molto lontano da ogni sentiero. La nevicata era iniziata proprio quella sera a tarda ora; era stata preceduta da un furioso litigio, terminato con l’allontanamento di Carmela dalla sua casa. La lite era scoppiata proprio a causa del personaggio che confessò inaspettatamente di credersi l’Anticristo durante una banale conversazione. Lei gli rimproverava di non volerlo aiutare urlando le offese più pesanti: «Perché non vuoi che trovi una brava ragazza e metta la testa a posto? Perché non permetti che venga ad abitare con tua madre vicino a noi?»
«Perché l’alloggio accanto al nostro dovrà essere per Giada o per la sorella che ne avrà più bisogno; come padre ho il dovere di pensare alle nostre figlie, poi, avendone la possibilità, anche agli altri».
«Lui verrà e ci rimarrà quanto vorrà!»
Stordito dal veleno di quelle parole, la guardò in silenzio mentre chiamava le bambine per rifugiarsi nella villetta accanto.
Il vento rendeva i fiocchi di neve simili a sciami di farfalle impazzite. Dai segni lasciati era evidente che qualcuno lo aveva preceduto di poco. Chi si era recato nel bosco a un’ora così tarda? Tolte le impronte di chi vi aveva cercato la prova del tradimento, rimanevano quelle di coloro che erano preda della frenesia di distruggere un uomo costantemente vigile e diffidente. Nessuno avrebbe potuto immaginare che il caso, per proteggerlo dalle loro azioni insidiose, sapeva utilizzare il candore della neve.
A quattordici anni giunse il momento di entrare nel mondo del lavoro e già dai primi passi non mancarono umiliazioni e amarezze. Consentiteci di narrare un solo episodio, sarà utile per introdurre alcune riflessioni sulla necessità di sopportare le sofferenze.
Era da poco passato mezzogiorno e l’operaio a cui prestava assistenza, un cugino acquisito, era pronto a uscire per il pranzo. Prima di allontanarsi, prese dalla confezione sigillata un foglio di tela abrasiva e con essa levigò brevemente un punto del mezzo che si sarebbe dovuto verniciare.
«Hai visto?… disse in fretta, «Quando torno deve essere trattato tutto allo stesso modo».
Aveva appena terminato il lavoro assegnatogli che lo sentì arrivare fischiettando.
«Tony, ho finito in questo istante, cosa devo fare adesso?»
Evitando di rispondere, si avvicinò al motoveicolo per controllare l’esecuzione. Scrutò in silenzio ogni angolo e, alla fine, senza nemmeno girare la testa, lo stupì: «Perché non hai usato questa tela?»
Si riferiva al foglio da lui adoperato prima di allontanarsi. Meravigliato dalla domanda, farfugliò la prima cosa che gli passò per la mente. Non la considerò soddisfacente come risposta a quanto pare, poiché, dopo essersi avvicinato, improvvisamente sferrò un colpo. Forse riuscì a evitarlo ma per schivarlo cadde a terra. Lui fu rapidamente sopra, lo immobilizzò poggiando la mano sul petto e un ginocchio a lato e ripeté la domanda. Questa volta non attese nemmeno la risposta, lo colpì allo stomaco col manico del cacciavite. Continuò così, a chiedere e a colpire, aumentando di volta in volta l’intensità delle urla e la violenza dei colpi. Non riusciva più a respirare. «Come posso fermarlo?» si chiese impaurito, «Non ci riesco! Non c’è nessuno che possa aiutarmi?» Ed ecco… si ricordò di Lui, «Sì!.. Tu lo puoi». sussurrò con un gemito mentre le forze residue finivano di abbandonarlo. La figura che si stagliò sullo sfondo in controluce, creava un’ombra gigantesca.
«Se continui così si piega il cacciavite e ti fai male alla mano» tuonò. Pareva conoscere la cura meticolosa che suo cugino riservava ai suoi attrezzi. L’uomo d’aspetto erculeo sembrava deciso a scaraventarlo lontano con un braccio. Anche quella bestia lo intuì, poiché si fermò immediatamente e lasciò che si rialzasse. Si riprese lentamente e si girò verso lo sconosciuto ma, come era giunto, così s’era allontanato senza attendere un ringraziamento.
Sono molte le vittime di simili umiliazioni e di altre ben peggiori, ma il motivo per cui riteneva insolita la sua situazione, stava nel fatto che l’assurdo episodio appena descritto e altri di maggior gravità, si siano ripetuti con una cadenza e una continuità estenuanti nel corso di gran parte della sua vita. Guardando da un punto di vista più consapevole, si riconosce l’importanza d’essere coscienti di ogni torto subito.
Grazie a quelle continue pressioni, alcuni, i pochi che riescono a evitare il crollo fisico o psichico, vengono portati a meditare sulla necessità di tali esperienze. Esse svolgono l’insostituibile funzione di insegnare a trascenderle.
“Perché come il lampo che balenando risplende da una estremità all’altra del cielo, così sarà il figliuol dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che soffra molto e venga ripudiato da questa generazione.” (Luca. 17/24-25)
“Il Signore l’Eterno mi ha aperto l’orecchio, e io non sono stato ribelle e non mi sono tratto indietro. Io ho presentato il mio dorso a chi mi percuoteva e le mie guance a chi mi strappava la barba; non ho nascosto il mio volto all’onta e agli sputi. Perciò ho reso la mia faccia simile a un macigno. Vicino è Colui che mi giustifica; chi è colui che mi condannerà? Prestami attenzione o Popolo mio! Poiché la Legge procederà da me, la mia Giustizia è vicina, la mia salvezza sta per apparire, le mie braccia giudicheranno i popoli; le isole spereranno in me e confideranno nel mio braccio. E ora la mia mano verga le parole dell’Eterno, che mi ha formato fin dal seno materno per esser suo servo, per raccogliere intorno a Lui Israele (Israele è qui inteso come la parte dell’Umanità che tende a Spiritualizzarsi) e il mio Dio è la mia forza, Egli dice: è troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio far di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra. Sono venuto su dinanzi a Lui come un rampollo, come una radice ch’esce da un arido suolo; non avevo forma né bellezza da attirare i vostri sguardi, né apparenza da farmi desiderare. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare col patire, pari a colui dinanzi al quale ciascuno si nasconde la faccia, ero spregiato, e voi non aveste stima alcuna. Eppure, erano le vostre malattie ch’io portavo, erano i vostri dolori quelli di cui m’ero caricato; e voi mi reputavate colpito, battuto da Dio, e umiliato… !” (Isaia)
Dalle parole di Isaia, si può notare un continuum nella comune esperienza che lega ogni grande mistico e tutti gli innovatori, apparsi tra gli uomini, dalla notte dei tempi. Per non sfuggire alla consuetudine, anche lui doveva attendere prima di levarsi tra le Nazioni? Di certo avrebbe dovuto mostrarsi capace di piangere per la sorte dei potenti; doveva anche esaltarsi davanti l’eroismo mostrato dai combattenti russi nei campi di sterminio nazisti.
Avrebbe seguito la via della Conoscenza suggerita dai mistici occidentali, poi l’orientale, così simile a quella degli stregoni Yaqui del Messico, i quali presentano la loro dottrina con le parole di un discepolo di Heidegger o come usava lo stesso Kierkegaard.
Era anche necessario lasciarsi ferire dai vostri sogni svaniti e ascoltare ogni pianto di bimbo. Le invocazioni di tutti gli oppressi e le vane preoccupazioni dei privilegiati. Doveva farlo per poter rispondere ad alcune importanti domande.
È giusto aver pianto per l’opportunità perduta dalla Nazione Americana, quando l’uomo che predicava la Nuova Frontiera venne colpito a tradimento? È giusto sapere che si esalta quando la capacità di esprimere una virtù eroica fa immancabilmente divenire amico ogni nemico? È giusto che si conoscano le ragioni per cui volle percorrere ogni via? La risposta a queste domande è molto semplice: ha vissuto quelle esperienze per poter dichiarare che tutte portano alla conoscenza della Verità. I dubbi che ci assalgono durante la vita e i sacrifici sopportati per rispondere proprio a quei dubbi, ci condurranno alla scoperta della stessa Verità. È giusto infine che vi si riveli perché prestò orecchio ai pianti e alle preghiere: era suo dovere di uomo come è dovere d’ogni figlio di Dio asciugare quelle lacrime ed esaudire le preghiere quando sente giungere l’Ora decisa dal Padre.